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Le “parole magiche” dell’identità nazionale nel regime di Vichy di Irene Di Jorio pubblicato su Italia Contemporanea n. 233 , dicembre 2003

Quando, il 10 luglio del 1940, l’Assemblea nazionale vota i pieni poteri a Philippe Pétain, parlare dell’esistenza di uno Stato francese pone non poche difficoltà. La Francia ha appena vissuto una sconfitta militare schiacciante, i tre quinti del territorio nazionale sono occupati dai tedeschi e il paese è allo sbando. Capitalizzando questa situazione di crisi estrema, il maresciallo Pétain dà l’avvio a una rivoluzione politica interna che — integrandosi con una politica estera di collaborazione con la Germania nazista — mira a rifondare lo Stato sulla base di principi antirepubblicani e antidemocratici. Nel difficile "lancio" della propria immagine, il regime di Vichy attribuisce un ruolo centrale alla propaganda, vedendo in essa una sorta di passepartout capace di funzionare, al contempo, come un surrogato dei "corpi intermedi" repubblicani (soppressi dal regime o aggiornati sine die), come un fondamentale strumento del progetto di Révolution Nationale e come un indispensabile collante spirituale per quell’identità nazionale francese che la sconfitta e l’occupazione rendono assolutamente precaria. Analizzando le ragioni — istituzionali, ideologiche e identitarie — che trasformano la propaganda in una "consapevole necessità" per i nuovi governanti, il saggio si concentra sulle specificità strutturali della "fabbrica del consenso" vichysta, dedicando un’attenzione prioritaria alle strategie discorsive che caratterizzano l’autorappresentazione dell’État Français. In tal senso, l’esame dei materiali di propaganda a diffusione militante (manuali, opuscoli, bollettini) permette di identificare, con meno filtri, le "parole magiche", le immagini e i miti fondativi su cui il regime di Pétain cercò di costruire una nuova identità nazionale per la Francia delle années noires.


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