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Il ritorno delle inchieste sociali nel parlamento repubblicano 1946-1954 di Gianluca Fiocco pubblicato su Italia Contemporanea n. 232 , settembre 2003

Il saggio prende le mosse dalla ricostruzione del dibattito sulle inchieste parlamentari all’Assemblea costituente. Giuristi e politici si divisero principalmente su tre questioni: il diritto d’inchiesta del parlamento, assente dallo Statuto albertino, doveva essere inserito nella Costituzione repubblicana? Tale diritto poteva essere esercitato da una minoranza parlamentare? E di quali poteri avrebbero goduto le future commissioni d’inchiesta? Alla fine venne approvato l’articolo 82, che affidava al nuovo parlamento il compito di riprendere la prassi delle inchieste interrotta dal fascismo. Viene esaminata quindi la tradizione delle inchieste sociali del parlamento sabaudo e la sua ripresa nel corso della prima legislatura repubblicana. I promotori delle nuove inchieste apparivano consapevoli di riallacciarsi a una storia illustre, che aveva illuminato i principali problemi del paese, il cui limite tuttavia stava nell’incapacità di promuovere riforme concrete. Le nuove inchieste non sarebbero sfuggite a questa norma, andando così a costituire un tassello nel mosaico delle mancate riforme degli anni del centrismo. A questo destino non si sottrasse neppure l’Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla - sulla quale in particolare si sofferma il saggio, descrivendola nelle sue varie articolazioni - le cui indagini fornirono un vasto affresco della società italiana dell’epoca. Non trovò così realizzazione il progetto del presidente della commissione preposta all’inchiesta, il socialdemocratico Ezio Vigorelli, che, conclusa nel 1953 la prima fase delle attività, presentò un disegno di legge che prevedeva l’insediamento di una nuova commissione interparlamentare con l’incarico di definire un piano organico per la sicurezza sociale.


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