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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani. Il generale e il particolare di Nicola Labanca pubblicato su Italia Contemporanea n. 251 , giugno 2008

Il 30 agosto 2008 il presidente del Consiglio della Repubblica italiana, cavalier Silvio Berlusconi, e il qa‘id della Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, colonnello Gheddafi, hanno firmato un Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione. L’evento ha fatto il giro del mondo. Si tratta di un accordo che vuole porre fine al contenzioso italo- libico sul passato coloniale. Poiché il documento ha anche importanti aspetti economici e politici, la dimensione culturale ha una sua autonomia e un suo peso? Il saggio parte dalla considerazione che l’evento ha avuto una sua inusuale risonanza internazionale, anche se è difficilmente comprensibile senza tenere conto delle implicazioni di politica nazionale su ambedue i versanti, e in ogni caso su quello italiano. Analizza quindi la versione resa disponibile dell’accordo e si chiede se, in un testo che si pone l’obiettivo di superare il passato coloniale, l’Italia vi ammetta esplicitamente la sua pesantezza o se invece abbia preferito la via della genericità. A tale proposito, brevemente, sulla base della letteratura disponibile, il saggio enumera i principali atti del passato coloniale per i quali si è parlato di crimini, anche se suggerisce che, discutendo del colonialismo, non convenga soffermarsi solo su eventi drammatici ma straordinari, cosa che farebbe perdere di vista — arrestandosi ai soli atti inumani o genocidi — la pesantezza della dimensione quotidiana del dominio coloniale. Assumere compiutamente il passato coloniale aiuterebbe peraltro gli italiani della Repubblica a superare una fase caratterizzata da un triplice silenzio, che rappresenta una macchia postcoloniale. Il saggio si chiude con una valutazione positiva del trattato, soprattutto per lo spazio aperto che esso inaugura: la valutazione rimane però condizionata all’esplicitazione della volontà di ambedue le parti — e soprattutto di quella italiana — a non rimanere nel generico ma a intraprendere la strada dello studio e del ricordo, e dell’ammissione, di una storia comunque conclusa.


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