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I primi passi verso l'annessione. Il governo militare nella Venezia Giulia 1918-1919 di Angelo Visintin pubblicato su Italia Contemporanea n. 256-257 , settembre-dicembre 2009

A seguito della firma dell'armistizio con l'impero asburgico, nel novembre 1918 l'esercito italiano occupò la Venezia Giulia (o Litorale), territorio austriaco rivendicato secondo gli accordi del patto di Londra del 1915. Mentre i reparti di due armate mobilitate si dispiegavano nella regione, a Trieste quale organo di gestione civile fu insediato il Regio governatorato della Venezia Giulia, retto dal generale Petitti di Roreto. Il compito assegnato dall'esecutivo e dal Comando supremo a Governatorato e armate consisteva nel favorire l'affermazione della nuova sovranità, promuovendo politicamente i processi di unificazione in attesa dei deliberati della Conferenza della pace. Per gestire la transizione postbellica, gli organi del governo militare agirono sia attraverso gli strumenti della repressione (controllo di uffici e istituzioni pubbliche, epurazioni selettive, internamenti e altre misure) sia della persuasione (propaganda, attività assistenziale, orientamento della stampa, appoggio ai raggruppamenti patriottici italiani). Al contrasto dei centri irredentistici sloveno-croati e delle organizzazioni socialiste o clericali si accompagnò quindi il tentativo, perseguito soprattutto da Petitti, di comporre un quadro politico ed economico vantaggioso per l'Italia. L'ambizioso progetto di integrare senza fratture le forze politiche giuliane nella scena nazionale tuttavia fallì di fronte al deteriorarsi dello spirito pubblico e alle spinte estremiste. In particolare, lo sforzo di incoraggiare i gruppi filoitaliani sfuggì di mano al governatore e anzi contribuì alla saldatura sul campo di componenti scioviniste civili e militari, nazionali e locali.


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