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I commercianti italiani nel primo dopoguerra 1946-1951 di Davide Baviello pubblicato su Italia Contemporanea n. 234 , marzo 2004

Dalla comparazione con gli altri paesi dell’Europa occidentale il sistema italiano di distribuzione al dettaglio si presentava come uno dei più arretrati. Nonostante le difficoltà per riorganizzare le numerose ed eterogenee categorie commerciali, nelle quali lo spirito di concorrenza prevaleva sulla solidarietà di classe, dopo la fine della guerra fu ricostituita la Confederazione che rappresentava unitariamente sul piano nazionale i commercianti italiani, i quali tuttavia non riuscirono a recuperare un rapporto positivo né con la società nel suo complesso né con il potere politico in particolare, sentendosi vittime di una persistente e ingiusta ostilità. I consumi che si mantenevano bassi e limitati in prevalenza ai generi alimentari, l’accresciuto controllo dello Stato sul settore distributivo, il possibile successo dei comunisti e dei socialisti, il peso assunto dai consorzi agrari, dalle cooperative e dagli enti comunali di consumo, gettarono gli esponenti del commercio tradizionale in uno stato di profonda incertezza per il proprio futuro, assaliti dalla paura di assistere all’abbattimento del loro ruolo economico nella società. L’affermarsi della democrazia aveva destato preoccupazione nell’ambito delle categorie commerciali per le possibili minacce che avrebbe potuto subire l’ordine sociale. Questo timore non sfociò affatto nell’instaurazione di un rapporto d’intesa con i governi guidati da De Gasperi, continuamente accusati di ignorare e penalizzare in modo sistematico il settore distributivo privato. È tuttavia possibile individuare la presenza di presupposti per relazioni in seguito sempre migliori con la Democrazia cristiana. Tra questi la cultura corporativa e conservatrice del ceto commerciale, che costituiva un fondamentale nesso di continuità con la precedente esperienza fascista, come d’altro canto l’idea di libertà soggettiva e negativa, che i commercianti esprimevano nel dopoguerra, oggi continuano a essere evidenti all’interno del vasto, variegato e ormai saldamente protetto mondo del lavoro autonomo in Italia.


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