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Abstracts della rivista

Abstract del numero 216, settembre 1999
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  • Arnold J. Toynbee, a cura di Penelope J. Corfield e Paolo Ferrari La vita della donna in altre epoche pubblicato sul numero 216 di Italia contemporanea, settembre 1999 Abstract: "Quanto può essere soddisfacente la vita di una donna nell’America di oggi e in altre parti del mondo occidentale contemporaneo? Una moderna donna occidentale avrebbe preferito (potendo scegliere) vivere in qualche altra epoca o in qualche altro luogo?". Con questi interrogativi si apre l’inedito saggio di Arnold J. Toynbee che pubblichiamo con una introduzione volta a contestualizzarlo. Il grande esperto della storia comparata delle civiltà dimostra un’impressionante capacità di muoversi tra periodi e temi diversi — in stridente contrasto con la specializzazione tematica e temporale oggi prevalente negli studi storici — offrendo al lettore una visione panoramica che va dalla preistoria all’antico Egitto, alla Grecia classica, al Medioevo, fino al mondo occidentale del nostro secolo. L’analisi viene condotta secondo diverse prospettive e alterna osservazioni dirette sulla vita quotidiana e riflessioni che costituiscono il risultato delle sue ricerche specialistiche. In conclusione, Toynbee evoca la sconfitta del potere femminile avvenuta nella preistoria, quando l’agricoltura primitiva passò dal monopolio femminile della zappa all’organizzazione maschile incentrata sull’aratro. Il testo esprime quindi bene il caratteristico modo di procedere e l’ampiezza degli interessi di Toynbee, così come la sua volontà di legare le proprie ricerche specialitiche alle grandi questioni del suo tempo. (p.j.c.-p.f.)


  • Agostino Giovagnoli Fra totalitarismo e internazionalismo. Cattolici e nazione prima e dopo la seconda guerra mondiale pubblicato sul numero 216 di Italia contemporanea, settembre 1999 Abstract: La seconda guerra mondiale ha indubbiamente segnato una cesura nel rapporto tra gli italiani e la "nazione". Occorre tuttavia distinguere tra "imperialismo fascista", sentimenti nazionalistici, senso di identità nazionale, atteggiamenti verso lo Stato. Non tutto cambiò subito e definitivamente: un diffuso sentimento nazionalistico, ad esempio, fu presente anche nell’Italia del dopoguerra. Nelle trasformazioni dell’atteggiamento degli italiani verso la nazione, un ruolo rilevante è stato svolto dalla Chiesa, largamente sentita come unica istituzione nazionale ancora valida dopo il crollo del regime e la crisi della monarchia. Ma, a sua volta, questa influenza ha risentito dell’evoluzione, determinatasi nel corso del Novecento, dell’atteggiamento cattolico verso la nazione. Dopo l’entusiasmo patriottico che favorì in Italia la riconciliazione tra cattolici e stato nazionale durante la prima guerra mondiale, la Chiesa mostrò apprezzamento verso il "nazionalismo moderato", spesso collegato a orientamenti autoritari e anticomunisti. Ma Pio XI divenne sempre più critico verso il totalitarismo nazista e nell’enciclica mai pubblicata Humani generis unitas viene esplicitamente condannato il nazionalismo totalitario. Durante la guerra, il senso dell’unità del genere umano e un atteggiamento critico verso il conflitto in corso divennero sempre più diffusi tra i cattolici, determinando una crescita delle loro propensioni "internazionalistiche" e un progressivo distacco dal nazionalismo, tendenze che emersero come prevalenti anche nella riflessione cattolica subito dopo la guerra, in particolare nella XIX Settimana sociale dei cattolici d’Italia, tenuta a Firenze nel 1945. Questo percorso favorì anche il distacco dei cattolici da posizioni autoritarie connesse al sentire nazionalistico, spingendoli verso un’idea di nazione intesa come popolo chiamato, attraverso gli strumenti della democrazia, a impedire nuove disastrose avventure belliche dei propri governanti.


  • Roberto Gualtieri Nazionale e internazionale nell’Italia del dopoguerra. 1943-1950 pubblicato sul numero 216 di Italia contemporanea, settembre 1999 Abstract: Tracciando un bilancio di nuove acquisizioni documentarie e di alcuni studi più recenti sul periodo 1943-1950, il saggio propone una periodizzazione e una interpretazione del processo di ‘rifondazione’ della nazione italiana incentrato sul nesso nazionale-internazionale. Per quanto riguarda il ruolo del Pci, i nuovi documenti sembrano assegnare al legame con l’Urss una funzione importante di sostegno alla linea nazionale e moderata seguita da Togliatti (che fu alla base del successo del partito), anche se con l’esplodere della guerra fredda le ambizioni egemoniche del disegno togliattiano vennero inevitabilmente ridimensionate e il Pci fu stabilmente confinato all’opposizione. Per quanto riguarda la Dc, si analizza il ruolo decisivo svolto dal piano Marshall e dai vincoli internazionali ad esso connessi nel consentire la realizzazione del disegno di sviluppo centrista. Paradossalmente, solo l’abbandono nel 1949 della linea nazionalistica, seguita dall’Italia sul triplice piano della politica estera, della politica commerciale e valutaria e su quello della gestione dell’Erp, rese possibile il successo di un ambizioso programma di industrializzazione di tipo neomercantilista, che era osteggiato da gran parte del mondo industriale ma che allo stesso tempo si fondava sui bassi salari e sull’esclusione della sinistra dal governo. Proprio per questo, la peculiare combinazione tra nazionale e internazionale realizzata dalla Dc non stabilizzò solo il fragile blocco centrista ma anche il fronte avversario, sancendo il ruolo egemone del Pci nella sinistra italiana, rendendo permanente la frattura del 1947 e privando il sistema politico delle risorse riformistiche e della legittimazione con cui affrontare la stagione degli anni sessanta.


  • Carlo Spagnolo Il piano Marshall e il centrismo. Il patto tra Stato e industria del 1948 pubblicato sul numero 216 di Italia contemporanea, settembre 1999 Abstract: Il saggio, che fa uso di documenti italiani e americani, vuole mostrare che la stabilizzazione politica anticomunista si comprende nelle sue determinanti di fondo a partire dal suo rapporto con la politica internazionale. Dal giugno 1947 in poi il piano Marshall costituì il quadro entro cui si iscrisse la formulazione del centrismo e di tutta la politica degasperiana. L’esito delle elezioni del 18 aprile 1948 fu influenzato dall’approvazione legislativa del piano statunitense. La definizione e la dinamica del centrismo fu segnata dalla decisione di reintegrare rapidamente il paese nel mercato occidentale secondo le regole stabilite a Bretton Woods. Il ruolo di mediazione della Dc e l’esigenza di estenderlo costantemente furono in gran parte causati dall’estrema difficoltà di conciliare l’integrazione nel mercato mondiale con una struttura socio-economica arretrata e dualista. Il divario tra il paese e il blocco occidentale impose al governo di sviluppare una mediazione tutta politica basata sull’intervento pubblico e gli aiuti statunitensi. Il problema, presente sin dal 1945, divenne però drammatico dopo la definitiva rottura tra i due blocchi in occasione del piano Marshall, per le sue speciali ripercussioni nel rapporto tra classe operaia e il resto del paese. Le dinamiche di fondo e le principali contraddizioni del centrismo si rifletterono nella tensione tra una politica repressiva di "integrazione negativa" della classe operaia e una politica riformista che mirava, invece, a un’"integrazione positiva" dei ceti subalterni. Onde evitare la perdita della propria centralità (all’interno del paese e rispetto agli Usa), la Dc evitò o impedì qualsiasi scelta produttiva che, accelerando molto la modernizzazione, potesse sciogliere a suo danno la tensione con la classe operaia. L’uso dei fondi del piano Marshall in Italia riflette dunque motivazioni eminentemente politiche. Tra esse rientrava un patto implicito tra la Dc e gli imprenditori per un basso prelievo fiscale e il ritorno al profitto tramite gli appalti pubblici.

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