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Abstracts della rivista

Abstract del numero 227, giugno 2002
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  • Agostino Giovagnoli Dal partito del 18 aprile 1948 al "partito pesante". La Democrazia cristiana nel 1951 pubblicato sul numero 227 di Italia contemporanea, giugno 2002 Abstract: A partire dal giugno 1950, la situazione politica italiana fu soprattutto condizionata dalla guerra di Corea, tra le cui conseguenze ci fu l’introduzione di un indirizzo dirigistico di politica economica: contrasti e divisioni su questo terreno portarono alle dimissioni della Direzione della Dc nella primavera 1951. Tali dimissioni vennero discusse al Consiglio nazionale di Gottaferrata, nel giugno successivo, in una situazione profondamente cambiata dall’esito delle elezioni amministrative precedenti, caratterizzate da un forte ridimensionamento della Dc. Le dimissioni della Direzione vennero ritirate, ma in quel Consiglio nazionale vennero poste le premesse di un nuovo governo, del ritiro di Dossetti dalla politica e, più tardi, della segreteria Fanfani. Secondo Gianni Baget Bozzo, la Dc avrebbe perso allora la sua "anima", abbandonando le sue radici cattoliche e accettando una subalternità ideale al comunismo. In realtà, tale esito supporrebbe una curiosa inversione delle parti tra ex popolari, a cui i giovani attribuivano un eccesso di laicità, e dossettiani, di cui è nota l’impronta esplicitamente "cattolica". Qualunque giudizio si voglia dare sul passaggio generazionale, la documentazione mostra che la strada verso il "partito pesante" è stata aperta dagli uomini della vecchia generazione, preoccupati di contrastare più efficacemente il comunismo. In questo senso, il ritiro di Dossetti dalla politica sembra da collegarsi alla fine della stagione inaugurata dal 18 aprile 1948. Analogamente, appare riduttivo parlare di uno scivolamento della Dc verso il pragmatismo a causa del "tradimento" di Fanfani: al di là delle scelte dei protagonisti, la "secolarizzazione" del partito è stata soprattutto indotta da trasformazioni che la Dc non ha voluto, ma piuttosto subito.


  • Francesco Malgeri La Democrazia cristiana nella crisi degli anni settanta pubblicato sul numero 227 di Italia contemporanea, giugno 2002 Abstract: Alla fine degli anni sessanta, la Dc, nel clima postconciliare e nel quadro della contestazione giovanile, comincia a trovare molte difficoltà a presentarsi ancora come espressione dell’unità politica dei cattolici, a conservare consenso e legittimazione presso associazioni, gruppi, movimenti di ispirazione cristiana. La questione del divorzio verrà a creare una frattura anche nel tradizionale rapporto con i partiti laici di governo. Fanfani aveva visto nel referendum sul divorzio lo strumento per ricomporre un blocco cattolico attorno al partito nella difesa di comuni valori, e per restituire alla Dc la centralità, il peso e la capacità di interpretare le attese della società, che il partito sembrava aver perduto. Ma il suo progetto era destinato al fallimento. Le elezioni regionali del 15 giugno 1975 crearono un clima di sconfitta in seno alla Dc, determinando la caduta di Fanfani. La nuova guida del partito affidata a Zaccagnini apriva la fase, cosiddetta, del rinnovamento o della rifondazione, una fase di attesa che mobilitò soprattutto le energie più vivaci al suo interno. Tuttavia questo progetto diventava molto difficile, in quanto l’esigenza del ritorno alla tradizione e alle radici storiche del partito si scontrava con la necessità di mantenere l’egemonia nel quadro politico nazionale e quindi di raccogliere voti soprattutto nei settori più conservatori del paese. Di fronte alla difficile emergenza che il paese viveva sul piano economico e di fronte all’attacco terroristico alle istituzioni democratiche, riemerse la figura di Aldo Moro, che favorì l’alleanza con il Pci e la formazione di un governo di unità nazionale, con l’obiettivo di traghettare il paese verso una "terza fase", che avrebbe dovuto segnare il superamento dei vecchi equilibri del sistema politico italiano. La tragica morte di Moro contribuì a far naufragare questo disegno.


  • Marco Rovelli La "mitologia del sovietico" e la crisi del 1956 pubblicato sul numero 227 di Italia contemporanea, giugno 2002 Abstract: Il saggio mostra la centralità strutturale del mito sovietico nella costruzione dell’identità e dell’ideologia dei comunisti italiani nel secondo dopoguerra. L’analisi del mito così come diffuso dalla stampa comunista e il confronto di questa struttura mitologica con i riferimenti culturali riscontrati nei dibattiti della base nel corso del 1956 mostrano come esso non potesse essere ’scorporato’ dalla totalità dell’ideologia dei comunisti italiani, in quanto aveva la funzione di razionalizzare bisogni e attese che scaturivano dalla realtà italiana, e dal mondo del lavoro in particolare. Dall’analisi comparata della ’propaganda’ e della rappresentazione che emerge dalle parole dei militanti, si comprende come sia essenziale per una corretta valutazione della natura del mito sovietico la centralità che, nella sua costruzione, aveva la classe operaia. La rappresentazione del mito era data in negativo rispetto alla rappresentazione della realtà italiana: così la "barricata" ideologica, riflesso di quella che tagliava in due il mondo, era immediatamente di classe. Il concetto di campo - che non rimane a livello ideologico, ma coinvolge un’intera rappresentazione del mondo, a partire dal linguaggio - è in questo schema fondamentale. In una prospettiva diacronica, l’ultima parte del saggio torna all’analisi degli elementi strutturali del mito così come presentato dalla stampa, e mostra come esso venne rinvigorito in quanto la forza del campo socialista dava forma alla forza stessa del partito, e alla sua identità di classe.

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