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Ripensare il nemico. Gli Stati Uniti e la fine della guerra fredda di Mario Del Pero, Emiliano Alessandri pubblicato su Italia Contemporanea n. 235 , giugno 2004

Questo saggio esamina l’evoluzione dell’immagine del nemico negli Stati Uniti contemporanei. In particolare, esso si concentra sull’impatto che la fine della guerra fredda e la scomparsa dell’Unione Sovietica ebbero su tale immagine. L’articolo poggia su una premessa e raggiunge una conclusione. La premessa è che durante la loro storia gli Usa hanno trovato difficile, se non impossibile, interagire normalmente e dialetticamente con i propri nemici, reali o immaginati. Autorappresentandosi come una nazione eccezionale con un destino unico, gli Stati Uniti hanno inevitabilmente trasformato i propri avversari in nemici assoluti della civiltà e del progresso. Questo approccio raggiunse il suo apice con la guerra fredda. Un nemico nuovo e assoluto era emerso dalle rovine della seconda guerra mondiale. L’Urss incarnava un controuniversalismo potente e teleologico che sfidava quello offerto dagli Usa. Ma essa rappresentava anche un nemico perfetto per gli Stati Uniti dell’epoca: un nemico totale, assoluto e illegittimo, con il quale nessuna interazione dialettica era necessaria. Tale nemico — e questa è la nostra conclusione — risultava per molti aspetti funzionale all’egemonia statunitense edificata nel dopoguerra. Quando però la natura assoluta del nemico sovietico cominciò a venir meno (fine anni sessanta/inizio anni settanta) o, ancor più, quando l’Urss implose (1991) si determinò un vuoto che andava riempito. La ricerca di un nuovo nemico, surrogante la trasformazione e la successiva scomparsa dell’Unione Sovietica, ha caratterizzato la politica estera statunitense degli ultimi trent’anni, intrecciandosi, nel corso degli anni ottanta, con la crescente fobia di un presunto declino del paese nel sistema internazionale. Il Giappone e la stessa Europa occidentale divennero, per un certo periodo, i potenziali nuovi nemici. Ma la storica incapacità degli Usa a normalizzare i propri nemici ha reso impossibile, almeno fino all’11 settembre 2001, l’identificazione di un sostituto adeguato dell’Unione Sovietica.


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