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Un'impresa inutile e dispendiosa. La spedizione militare in Anatolia 1919-1922 di Luca Micheletta pubblicato su Italia Contemporanea n. 256-257 , settembre-dicembre 2009

Nel 1919 gli italiani sbarcarono in Turchia ove rimasero per circa tre anni. Si trattò di un'operazione simbolica, tesa ad affermare il diritto italiano all'equilibrio con le altre grandi potenze nel Mediterraneo orientale. La spedizione, che per contraccolpo determinò lo sbarco greco a Smirne e il conseguente avvio della resistenza kemalista, avrebbe avuto enormi ripercussioni sul piano politico generale, ma non avrebbe comportato nessun vantaggio politico o economico per gli interessi italiani. La delegazione italiana alla Conferenza della pace ottenne poco o nulla rispetto alle aspettative di controllare economicamente una vasta zona dell'Anatolia meridionale. Gli alleati, inglesi e francesi, infatti, con l'accordo tripartito, si limitarono ad accettare di non farle concorrenza in una zona molto più ristretta, mentre si rivelò illusoria la speranza della diplomazia italiana di trovare una collaborazione economica e politica con i turchi. Dopo la rivoluzione kemalista, che rimise in discussione tutto l'assetto di pace concordato a Sèvres, non si riscontrò nessuna disponibilità da parte turca a negoziare un accordo con l'Italia che limitasse o mettesse a rischio la sovranità nazionale su parti del territorio turco. Constatata l'improduttività della spedizione dal punto di vista politico e il rischio di gravi incidenti con le truppe kemaliste ormai vittoriose, agli italiani non rimase che accogliere le reiterate richieste di Mustafa Kemal di evacuare completamente il suolo turco.


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