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Memoria europea

9 ottobre 2020, ore 10.00-18.00
(10.00-13.00 I sessione; 15.00-18.00 II sessione)
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Sala Polifunzionale, Viale Pasubio 5 

Seminario
Memoria europea

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Istituto Nazionale Ferruccio Parri ed École des Hautes études en Sciences Sociales propongono un seminario in due sessioni dedicato ai temi della Memoria europea e al ruolo della Storia nell’Europa di oggi.

1-La pubblicazione di Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile, a cura di Angelo Bolaffi e Guido Crainz (Donzelli) è l’occasione per ripensare l’idea di Europa, ma anche i processi che ne hanno definito la fisionomia, l’immagine, la memoria… La nostra proposta è di considerare la tavola temporale che emerge dalla ricostruzione e dallo schema al centro di Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile e chiederci:

  • Su quali principi si tiene un’ipotesi di calendario civile?
  • Quanto dura un calendario civile?
  • Un calendario è l’effetto di una memoria che si ha o è la procedura per costruire una memoria?
  • Questo calendario è normativo? È prescrittivo? È descrittivo?
  • In relazione a quale “patto” si costruisce?

La questione oggi di un calendario civile europeo non può prescindere dalle questioni, ma anche dal clima politico, dai linguaggi, dagli immaginari, da una visione povera di storia che è particolarmente resa evidente dalla Risoluzione sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa, approvata dal Parlamento europeo a Strasburgo il 19 settembre 2019.

Risoluzione che è stata proposta, sostenuta dai paesi dell’ex blocco sovietico aderenti alla UE che chiedono una idea e una memoria della libertà che non si fermi al cancello di Auschwitz, ma assuma anche la lotta al totalitarismo comunista fino all’89 come un pilastro dell’idea di Europa libera. E tuttavia, verrebbe da dire, anche così la memoria non è «a parte intera». Perché nessuno fa i conti con la mentalità totalitaria che rimane attiva dopo la fine dei totalitarismi.

Quella macchina non si dissolve da sé, tant’è che rimane viva nel fascino che nei paesi dell’ex blocco sovietico hanno le culture vittimarie e complottiste, e la forza persuasiva e operativa che mantengono le macchine di potere proprie delle esperienze totalitarie, che non hanno assolutamente smesso di funzionare.

Contemporaneamente, rimangono attive e operative le culture colonialiste e i razzismi spesso ad esse impliciti, soprattutto in quei paesi dell’Europa occidentale che non hanno affrontato con radicalità e convinzione il lascito, soprattutto culturale, delle proprie esperienze coloniali (Regno Unito, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Spagna, …). Un profilo che mostra come il tema della democrazia non compiuta non lasci fuori nessuno.

Quella risoluzione non contiene alcuna autocritica da parte dei paesi europei: punta l’indice contro le due aberrazioni agli estremi, nazismo e stalinismo, ma manca completamente il piano dell’autocritica dei paesi aderenti, come se la storia di questi paesi – il tema del nostro convegno è anche il difficile rapporto fra “memoria dall’alto” e “memoria dal basso” – non contenesse conflitto, rimossi, memoria scomoda. Appunto, come se quelle democrazie non avessero punti di svolta della storia un po’ oscuri, fra stragismo di stato, terrorismo, repressione violenta del dissenso, discriminazione, colonialismo, culto delle appartenenze, pratiche di discriminazione di genere, ecc. In Europa un tema di democrazia non compiuta riguarda tutti, anche le democrazie più mature, che non sono certo state soltanto luoghi della libertà e del progresso lineare.

Ma un calendario civico non è solo scavo nei luoghi di memoria. Non può prescindere dalla costruzione di un lessico che sta nelle radici illuministiche dell’Europa e dal fatto che la crisi non è solo economica, ma oggi – in funzione di un “futuro che vogliamo” – non può non misurarsi non solo con il passato che vogliamo ricordare, ma anche, e forse soprattutto, con il futuro che intendiamo contribuire a costruire.

Processo che implica assumere una visione inclusiva della storia che racconti le diverse soggettività, che assuma la storia anche come le storie delle persone nella loro dimensione di fluidità. Storia non lineare, non monolitica, dove un gruppo umano non è solo una storia, bensì la somma e anche la coabitazione di molte storie diverse.

Le date che poniamo nel calendario civile che cosa sono? Sono eventi? Sono parole chiave di lavoro per costruire una tavola condivisa di temi? Sono un esercizio di riflessione storica possibilmente non fondata sul vittimismo, per definire un vocabolario condiviso?

2-Un secondo interrogativo che poniamo ai partecipanti al seminario riguarda “l’utilità della storia”, forse anche le piste di lavoro di public history. L’annuncio della cessazione di “le Débat” (Gallimard) da parte del suo fondatore e direttore Pierre Nora, ha riaperto una discussione sul destino delle pubblicazioni periodiche, in particolare quelle di storia (ma nello stesso senso si potrebbero anche aggiungere quei periodici pensati per l’aggiornamento e la discussione culturale, per esempio “Les Temps modernes” di Claude Lanzamann, pubblicazione, sempre di Gallimard, chiusa nel 2018). La dichiarazione di Nora riguarda la caduta di interesse da parte del pubblico (dunque una crisi nella domanda di sapere) cui è corrisposta nel tempo una caduta della circolazione della rivista a numeri che non consentono di considerare ancora utile continuare quella filiera di produzione. La questione non riguarda le riviste di ricerca in senso tradizionale, ma gli strumenti di discussione, approfondimento, confronto, divulgazione. Il territorio in questo caso non riguarda solo la storiografia, ma anche la dimensione di Public History e gli strumenti, le strutture, le forme della narrazione storica che hanno relazione soprattutto con la dimensione pubblica della discussione storica.

“Le Débat” era soprattutto questo: una rivista nata nel 1980 con l’intento non di porsi in concorrenza con l’EHESS e in particolare con “Annales E.S.C.”, poi “Annales H.S.S.” (di cui peraltro era emanazione nei temi, nei luoghi di produzione e negli intellettuali coinvolti nella direzione editoriale), ma come l’apertura di un campo di lavoro e di forma della discussione pubblica, entrambi in relazione con il modello di diffusione proprio dell’industria culturale, dal percorso espositivo tematico nelle diverse modalità (mostra, ciclo di dibattito pubblico, filmografia, in breve comunicazione culturale di temi e contenuti che rinviano a ricerca storiografica, con linguaggi di divulgazione) che hanno caratterizzato soprattutto la macchina culturale francese a partire dall’era Mitterrand.

La domanda che ci poniamo non è né se, né che cosa sostituirà “le Débat”, ma quali campi di produzione culturale quel vuoto chiede che si ripensino. Come, con quale linguaggi, attraverso quali forme della comunicazione si trasmettono e si propongono contenuti di storia? Quali le competenze, le sensibilità professionali, le discipline in grado di suscitare e incontrare interesse da parte del pubblico?

E poi ci chiediamo: esiste un solo pubblico? E se fosse necessario pensare che, così come esistono livelli diversi delle competenze, esistono anche pubblici diversi per i quali occorre pensare contenuti, forme, in breve prodotti distinti? Insomma, il tema è: bisogna semplificare il contenuto o al contrario differenziarlo in relazione a pubblici diversi? Infine: come intraprendere oggi percorsi di aggiornamento, formazione approfondimento e innovazione nel campo del sapere e della conoscenza della storia?

Modalità del seminario:

Primo quesito:

Quattro relazioni introduttive: David Bidussa, Antonella Salomoni, Giovanni Levi (da remoto), Maurizio Ferrera (da remoto).

A seguire dibattito libero

Presenti in sala: Alberto De Bernardi, Maria Grazia Meriggi, Maria Canella, Giovanni Scirocco, Nicola Del Corno, Bruno Cartosio, Silvia  Salvatici, Giorgio Bigatti, Iara Meloni, Igor Pizzirusso, Valentina Pisanty, Metella Montanari, Elisabetta Ruffini, Simone Neri Serneri, Renato Camurri, Maria Luisa Betri, Marina Gazzini, Irene Piazzoni, Francesco Tissoni, Niccolò Donati, Luigi Vergallo.

Presenti da remoto: Luigi Cajani, Irene Bolzon, Carlo Greppi, Guido Crainz, Alessandra Gissi, Anna Foa, Valeria Galimi, Davide Tabor, Gadi Luzzatto Voghera, Marco Cuzzi, Serge Noiret, Fulvio Cammarano, Blythe Alice Raviola, Paolo Grillo, Ilaria Porciani, Livio Antonielli, Emanuela Scarpellini, Toni Rovatti.

Secondo quesito:

Tre relazioni introduttive: Sabina Loriga (da remoto), Mirco Carrattieri, Alessandro Portelli.

A seguire dibattito libero

 

La partecipazione dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri è stata possibile grazie al contributo di