Craxi vent’anni dopo
di Giovanni Scirocco
La ricorrenza del ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi e il film attualmente in programmazione di Gianni Amelio hanno riaperto (ma in realtà non si è mai chiuso) il dibattito sulla figura del leader socialista. Una figura indubbiamente complessa e controversa, di cui è impossibile tracciare un ritratto (e tantomeno fare un bilancio) in poche righe.
Mi preme, comunque, puntualizzare, in apertura, due aspetti, che dovrebbero essere scontati per chiunque si occupa di storia, ma che, leggendo le polemiche di questi giorni, tali evidentemente non sono:
1) lo storico esprime giudizi, ma non è un giudice. Diversa è la logica sulla base della quale agisce e i suoi criteri interpretativi. Allo stesso modo, una cosa sono le sentenze della magistratura, altra cosa le interpretazioni storico-politiche. Il che, naturalmente, non esclude il fatto che, in quest’ultimo ambito, possano rientrare (ma non in maniera esclusiva) anche valutazioni di carattere etico
2) un film non è un’opera di storia (e viceversa). Anche in questo caso, diverse sono le finalità e, soprattutto, i linguaggi e le tecniche di narrazione.
Detto questo, mi limito ad alcune considerazioni di carattere generale. Craxi appartiene senz’altro alla tradizione socialdemocratica. Ma, come il suo maestro Pietro Nenni, aveva fatto della politique d’abord la propria parola d’ordine. Quindi molta attenzione alla tattica, meno alla strategia e ancor meno agli aspetti ideologici. Non era un intellettuale prestato alla politica come Francesco De Martino e neppure un attento conoscitore della letteratura economica come Riccardo Lombardi. Tanto è vero che, in entrambi i campi, come peraltro molti uomini politici, ricorreva a dei ghost writers (penso ad es. a Luciano Pellicani o a Virgilio Dagnino). Però, come tutti i leaders della prima Repubblica, conosceva il valore politico, in un sistema mediatico molto diverso da quello attuale, delle battaglie culturali e ideologiche. Anche da questo punto di vista dobbiamo però distinguere varie fasi, sullo sfondo dell’evoluzione della politica internazionale:
a) i primi anni della sua segreteria, quelli dell’alleanza con la sinistra lombardiana, vedono l’elaborazione, culminata nel congresso di Torino del 1978, del progetto socialista per l’alternativa. E’ il periodo anche del Vangelo socialista, il cosiddetto saggio su Proudhon, e della rivalsa, anche intellettuale, nei confronti della cultura comunista.
b) il 1981 è l’anno della vittoria di Mitterrand in Francia (e dell’ascesa al potere di Reagan negli Usa), con un programma comune con il PCF, che però sostanzialmente crolla dopo 6 mesi. Contemporaneamente, al congresso di Palermo, Craxi abbandona il progetto socialista, privilegiando l’alternanza e la governabilità, con una forte accentuazione del proprio ruolo di leader.
c) l’anno dopo si tiene la conferenza programmatica di Rimini, quella dei “meriti e dei bisogni”. Anche qui l’attenzione si sposta gradualmente dal lavoratore al cittadino al consumatore, in sintonia con lo “spirito dei tempi”: finalmente si usciva dagli anni di piombo, la nave tornava ad andare, per utilizzare un altro slogan di Craxi, che l’anno dopo sarebbe diventato presidente del Consiglio, mentre Berlusconi accresceva le proprie fortune imprenditoriali
d) 1983-1987: la presidenza del Consiglio, che meriterebbe un’analisi a parte.
Dal punto di vista elettorale, in questi anni il PSI passò dal 9,6% delle elezioni del giugno 1976 (che portarono alle dimissioni di De Martino e all’elezione alla segreteria di Craxi) al 14,2% del 1987. In sostanza, il PSI craxiano non riuscì mai a decollare veramente sul piano elettorale: con quella percentuale poteva svolgere un ruolo di interdizione, ma non sbloccare il sistema politico (e, peraltro, lo stesso progetto di “grande riforma”, la cui necessità Craxi aveva intuito, non riuscì mai a concretizzarsi, neanche in un programma compiuto). Questa è stata la sua vera sconfitta politica. Dopo il 1987 inizia il suo declino (anche fisico). Craxi, che per altro aveva sempre nutrito, fin da giovane, grande attenzione per la realtà internazionale, frequentando i congressi delle organizzazioni mondiali giovanili, intrecciando conoscenze e amicizie destinate a durare per tutta la vita, mantenendo la tradizione internazionalista del socialismo italiano (pensiamo agli aiuti più o meno clandestini a spagnoli, greci, cileni durante la dittatura e poi a Solidarnosc), non comprende (o non vuole comprendere, come peraltro quasi tutte le componenti del sistema politico italiano) il significato profondo di quanto avviene tra il 1989 e il 1992 (tra il crollo del Muro di Berlino e Maastricht), un vero e proprio cambio di paradigma, uno sblocco dello stesso sistema a quel punto non più governato da quelli che erano stati i suoi principali attori, i partiti. Aggiungiamo che il PSI era un partito che, storicamente, anche per la propria cultura, aveva sempre sofferto di un deficit di organizzazione e di struttura, amplificato da quando si era appunto deciso di puntare molto sulla personalità del proprio leader carismatico. Il crollo fu repentino, ma non imprevedibile, almeno per chi voleva vedere.