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L’antifascismo nella costruzione della Polonia comunista di Carla Tonini pubblicato su Italia Contemporanea n. 230 , marzo 2003

La Resistenza polacca nacque, dopo le invasioni nazista e sovietica, con l’obiettivo di riconquistare l’indipendenza del paese. Tra il 1939 e il 1941, essa fu una battaglia "contro i tedeschi ma ugualmente, e soprattutto, contro i sovietici". L’equazione Resistenza-antifascismo fu introdotta dai comunisti polacchi dopo la loro comparsa sulla scena politica della clandestinità, nel gennaio 1942. Il loro sforzo di presentarsi come gli unici veri antifascisti si scontrava però con la presenza dello Stato clandestino, che godeva della legittimazione popolare e con quella dell’Unione Sovietica, che era l’alleato degli occidentali nella lotta contro il fascismo. Nel paese dunque si confrontavano tre antifascismi. Il primo, rappresentato dalla resistenza legata a Londra, nella quale si riconosceva la maggior parte dei polacchi, era una lotta per la liberazione dagli occupanti nazista e sovietico e per la libertà politica e civile. Il secondo, rappresentato da alcune migliaia di comunisti nel paese, era insieme lotta nazionale e guerra di classe: esso comportava forti limitazioni alle libertà politiche e sociali. Inoltre, i comunisti "nazionali" speravano di conquistare alla Polonia uno spazio autonomo nella futura collocazione internazionale nel blocco sovietico. Infine, esisteva l’antifascismo "d’importazione", rappresentato dall’Urss, che combatteva una guerra contro il nemico nazista e contemporaneamente una guerra contro ogni libertà, politica, civile e statuale. Nel 1945, l’attribuzione alla Polonia di un vasto territorio a occidente costituì una grande possibilità di legittimazione del partito comunista, che presentò l’espulsione dei tedeschi e la colonizzazione delle "terre riconquistate" come il simbolo della vittoria finale contro il nazismo.


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