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Cenni storici: le origini del sistema archivistico degli Istituti della Resistenza

di Elisabetta Arioti

[tratto da: “Storia e Memoria” Rivista semestrale dell’Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, A. XI, n. 1, 1^ semestre 2002, pp.107-124]

1. Premessa

All’origine dei primi tre Istituti per la storia della Resistenza sorti in Italia, e cioè quello piemontese, quello ligure e quello lombardo, che diedero poi vita nel 1951 all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, era fortemente sottesa un’esigenza di natura archivistica: dare adeguata collocazione alla documentazione attinente la lotta per la liberazione nazionale e l’esperienza di governo dei CLN. E ciò non soltanto allo scopo di evitarne la dispersione, ma anche per sottrarla all’acquisizione da parte di altri soggetti, in primo luogo dell’amministrazione degli Archivi di Stato, considerata inidonea a valorizzarla. Si trattò, a ben vedere, di una scelta di politica culturale fino a quel momento inedita in Italia, in quanto prevedeva la conservazione diretta di materiale documentario di grande interesse nazionale da parte di coloro che l’avevano prodotta, come combattenti per la liberazione in primo luogo e successivamente in qualità di esponenti dei CLN regionali, associati in una rete di istituti di natura giuridica privata e tra loro coordinati in modo non gerarchico.

L’esigenza prioritaria di conservazione e di reperimento delle fonti compare anche nello statuto dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria[1] entrato in vigore il 10 settembre 1947, che individuava come primo compito della neonata istituzione la raccolta e l’ordinamento di “tutti i documenti e cimeli che interessano la storia della Resistenza in Liguria e le comunicazioni ovunque apparse al riguardo” Presso l’Istituto ligure, tuttavia, una serie di circostanze di carattere non esclusivamente pratico condusse a soluzioni conservative che attribuirono all’amministrazione degli Archivi di Stato un ruolo molto più impegnativo di quanto invece avvenne in Piemonte e in Lombardia, e ciò non fu privo di conseguenze nell’orientare la successiva attività di ricerca e di valorizzazione del materiale documentario non concentrato nell’archivio del CLN o rimasto in possesso di privati.

Il presente contributo si propone quindi in primo luogo di ricostruire la formazione e le vicende del nucleo archivistico originario dell’Istituto ligure, inserendole nel dibattito sviluppatosi fra il 1946 e il 1947 nell’Italia centro-settentrionale intorno alla migliore destinazione da dare agli archivi dei disciolti CLN, per poi descrivere le acquisizioni di fondi avvenute successivamente e gli interventi di riordinamento e inventariazione realizzati nel tempo, concludendo con quello informatizzato tuttora in corso.

2. Il dibattito sulla destinazione degli archivi dei CLN

Il primo CLN regionale che si occupò in modo sistematico di raccogliere e conservare a fini storici i documenti prodotti nel periodo della clandestinità fu quello piemontese, che già nel luglio del 1945 aveva istituito presso la propria sede un ufficio storico con finalità di “reperimento e raccolta sistematica dei documenti relativi agli sviluppi assunti nel campo militare e politico dalla lotta per la liberazione dalla tirannide nazi-fascista durante i venti mesi anteriormente al 15 luglio 1945″[2]. Come osserva Giovanni De Luna, questo ufficio poteva considerarsi una filiazione diretta dell’Ufficio storico operante presso il Comitato militare regionale piemontese, dal quale “ereditava uomini, mezzi, competenze”[3]; tuttavia il passaggio da una struttura di carattere militare, che quindi concepiva le funzioni del proprio ufficio storico in stretta analogia con quelle degli stati maggiori dell’esercito, a un organo di governo civile come il CLN dovette contribuire ad allargare il campo delle indagini documentarie e a predisporre progetti di ricerca di respiro più ampio.

E’ anche probabile che la precocità con cui il CLN piemontese si dotò di un proprio archivio storico fosse connessa alla presenza fra i suoi dirigenti di un dipendente dell’Archivio di Stato di Torino, Matteo Sandretti, che allora ricopriva l’incarico di segretario generale della Giunta regionale di governo e fu poi uno dei fondatori del locale Istituto storico della Resistenza.

Gli archivi divennero comunque oggetto di un intenso dibattito all’interno del CLNAI soltanto un anno dopo, all’epoca cioè della decisione di autoscioglimento, che ebbe quale conseguenza anche l’immediata “storicizzazione” dei documenti prodotti nel corso dell’attività svolta dai CLN fra l’aprile del 1945 ed il giugno del 1946. Nella circolare sulle modalità di scioglimento dei CLN lombardi diramata dal CLN della Lombardia il 1 luglio 1946, e successivamente ripresa in termini quasi identici dal CLN piemontese[4], venivano date disposizioni per evitare che la documentazione fino a quel momento prodotta andasse dispersa, stabilendo che i CLN rionali, comunali e aziendali, le cui funzioni avrebbero dovuto cessare immediatamente, trasmettessero i propri archivi ai competenti CLN provinciali. Questi ultimi, operanti come uffici stralcio, avrebbero dovuto a loro volta curare che il proprio materiale archivistico, con aggregato quello dei CLN dipendenti, fosse trasmesso ai rispettivi CLN regionali. La raccolta e il riordinamento del materiale archivistico diventavano quindi, oltre alle attività di rendicontazione contabile e amministrativa ordinariamente connesse alla soppressione di un ente, i compiti fondamentali degli uffici stralcio provinciali e regionali, nella consapevolezza che tale materiale costituiva “una testimonianza dell’intenso, molteplice, costruttivo lavoro dei CLN e del loro peculiare
funzionamento”[5], e come tale andava accuratamente tutelato.

Agli inizi di luglio la posizione dei CLN rispetto alla destinazione dei documenti così concentrati appariva ancora molto aperta nei confronti dell’amministrazione archivistica: la circolare del CLN lombardo si chiudeva infatti con l’assicurazione che “gli archivi che risulteranno dalla riunione di tutti gli incartamenti dei CLN della Regione lombarda saranno raccolti da questo CLN regionale, il quale li depositerà presso l’Ente archivistico pubblico che darà le migliori garanzie di conservazione in vista del lavoro storico futuro”, e questa frase si trova ripetuta nell’analoga circolare del CLN piemontese, che pure sarebbe divenuto in seguito il più strenuo oppositore all’affidamento dei propri archivi a istituti pubblici. Di tenore diverso risulta invece la circolare diramata dal CLNAI il 31 luglio successivo, con cui venivano estese a tutti i CLN dipendenti prescrizioni in materia archivistica sostanzialmente analoghe a quelle elaborate in Lombardia e in Piemonte, ma che si concludeva sottolineando che “per quanto riguarda il versamento degli archivi dei CLN non sono state ancora prese disposizioni definitive” e consigliava pertanto “di non fare per ora né versamenti né promesse di versamenti onde evitare nel futuro noiose contestazioni”[6]. Secondo quanto riferito da Emilio Re[7], questo irrigidimento sarebbe stato provocato dall’ invito della Soprintendenza archivistica della Lombardia a far versare la documentazione del CLNAI e dei CLN locali presso i competenti Archivi di Stato, poiché le funzioni da essi esercitate erano del tutto assimilabili a quelle di uffici statali[8]. Si trattava senza dubbio di una richiesta legittima dal punto di vista giuridico, e che riconosceva pienamente il ruolo svolto dai CLN nel periodo immediatamente successivo alla liberazione. Essa però dovette far insorgere nei dirigenti del CLNAI il sospetto che l’amministrazione archivistica, a quell’epoca dipendente, com’è noto, dal Ministero dell’Interno, intendesse appropriarsi della documentazione di carattere resistenziale per fini di normalizzazione politica e per sottrarla alla pubblica consultazione. La legge archivistica allora vigente poneva infatti tali limiti temporali alla consultabilità della documentazione conservata negli Archivi di Stato, da
far temere che gli archivi CLN, se vi fossero stati trasferiti, non avrebbero più potuto essere utilizzati per quei progetti di valorizzazione storiografica che già si stavano elaborando[9].

Il contrasto tra CLNAI e amministrazione archivistica venne acuito dalla circolare diffusa il 14 agosto 1946 dall’Ufficio centrale degli Archivi di Stato, il quale faceva propria l’iniziativa del soprintendente archivistico lombardo, invitando tutte le soprintendenze archivistiche a sollecitare il versamento degli archivi dei CLN delle proprie circoscrizioni agli Archivi di Stato. Questa disposizione, tra l’altro, diede origine alla netta diversificazione territoriale della destinazione del materiale documentario, a tutt’oggi riscontrabile: la maggior parte dei CLN dell’Italia meridionale e centrale scelse infatti di aderire alla sollecitazione ministeriale, mentre nelle regioni poste a nord della linea gotica (a cui si aggiunse la Toscana) i dirigenti dei CLN si vennero progressivamente allineando su posizioni di assoluta intransigenza nei confronti di ogni presunta ingerenza dell’amministrazione statale.

La prima occasione di confronto su questa materia fu il convegno dei CLN regionali che si tenne a Genova tra il 21 e il 22 dicembre del 1946[10], all’interno del quale la sessione del 22 mattina venne dedicata allo specifico problema degli archivi. In apertura del dibattito i termini della questione vennero drasticamente enunciati da Azzo Toni, rappresentante del PSI nel CLN ligure: “I precedenti sono questi: avevamo stabilito di affidare la conservazione dei nostri atti agli archivi di Stato. E ci sono, anche qui, le circolari prefettizie che ne sollecitano la consegna. Ebbene noi, anche al lume delle odierne discussioni, esprimiamo la nostra piena sfiducia sugli organi statali e rifiutiamo di consegnare nelle mani di certa burocrazia gli atti del CLN. La soluzione diversa del problema la troveremo se realizzeremo, come spero, il progetto di cui si è fatto promotore il CLN piemontese”[11]. Spettò quindi all’azionista Alessandro Galante Garrone, in rappresentanza del CLN piemontese, illustrare la proposta di costituzione di un istituto nazionale per la raccolta e la valorizzazione delle memorie storiche della resistenza, che però avrebbe dovuto operare in forme largamente decentrate in quanto “come la stessa guerra di resistenza si è articolata regione per regione coi CLN regionali, così è logico che questo lavoro di conservazione dei documenti ecc. venga condotto regione per regione”[12]. Si trattava di un progetto dai contenuti fortemente innovativi, e forse proprio per questo di non immediata comprensione. La mozione piemontese venne alla fine approvata all’unanimità, probabilmente anche in mancanza di valide proposte alternative, tuttavia il verbale della riunione mette bene in luce le perplessità, di ordine non soltanto finanziario, della maggior parte dei rappresentanti regionali, i quali trovavano evidentemente difficile concepire un’istituzione culturale che operasse del tutto autonomamente dai tradizionali canali di finanziamento ministeriali, e tendevano piuttosto a rifarsi a modelli già preesistenti.
Significativo, in tal senso, appare l’appello di un rappresentante del CLN dell’Emilia Romagna affinché il lavoro di raccolta e di valorizzazione documentaria fosse in qualche modo inquadrato nell’attività della Deputazione di Storia patria[13], mentre Gianluigi Balzarotti (Cecconi), del CLNAI, suggerì di sollecitare il sostegno economico del Ministero per l’Assistenza post-bellica[14], e Mario Bendiscioli, del CLN lombardo, tenne a sottolineare che il proprio Ufficio stralcio non disponeva di “alcun mezzo”[15]. Il presidente del CLN veneto comunicò con un certo candore che i CLN provinciali da esso dipendenti avevano quasi tutti versato i loro archivi agli Archivi di Stato, con l’eccezione di quello di Udine che aveva preferito depositarli presso il locale Museo storico del Risorgimento[16]. Al di là delle dichiarazioni di massima, quindi, permaneva una notevole incertezza operativa, e non a caso la riunione si concluse con la richiesta che il CLN piemontese provvedesse a stilare e a diffondere una relazione in cui venissero meglio dettagliate le varie fasi di “concretizzazione” della proposta di costituzione di un istituto nazionale illustrata dai suoi rappresentanti.[17]

Agli inizi dell’anno successivo, uno scambio di lettere fra Mario Bendiscioli e Alessandro Galante Garrone, relativo al progetto di massima per la costituzione di una “Fondazione per la Resistenza” diffuso dal CLN piemontese secondo quanto concordato a Genova, dimostrava che le incertezze non erano ancora state superate. Pur ribadendo la generica approvazione dei lombardi, Bendiscioli teneva a ribadire che avrebbe visto con maggior favore la creazione “di un Istituto storico per la raccolta e la rielaborazione del materiale che documenti la resistenza, il quale abbia una struttura fondamentalmente simile a quella degli Istituti attualmente esistenti per la Storia Medievale e Moderna”, e quindi di carattere pubblico e centralizzato[18]. Fu probabilmente quest’ulteriore tentativo di dirottare l’iniziativa su percorsi istituzionali più consueti che fornì ad Alessandro Galante Garrone l’occasione per stilare una lunga nota, nella quale venivano analiticamente esaminati gli inconvenienti insiti nella soluzione indicata da Bendiscioli, partendo dalle inevitabili lungaggini burocratiche per passare poi a una netta dichiarazione di sfiducia nei confronti della storiografia ufficiale[19] e infine concludere con quella che ai piemontesi appariva ormai l’esigenza di carattere prioritario: “a noi sembra essenziale che le ricerche siano condotte su scala regionale, e che alle iniziative delle singole regioni sia lasciata la più ampia autonomia”. L’azione di raccolta e valorizzazione dei documenti della Resistenza doveva quindi fondarsi, quanto meno inizialmente, “sulle spontanee autonome iniziative della periferia”.

Alla luce di questa convinzione che diveniva ormai irrinunciabile, il CLN piemontese abbandonava ogni tentativo di dar vita prioritariamente a un istituto di carattere nazionale, sia pure operante in forme largamente decentrate, e decideva al contrario di costituire in tempi brevi un’Associazione per la storia della Resistenza in Piemonte, sollecitando gli altri CLN regionali a fare altrettanto. “Gli opportuni collegamenti e raccordi” sarebbero stati stabiliti una volta sorti questi primi nuclei associativi[20]. Fu, in effetti, quanto avvenne. L’Associazione piemontese, costituitasi il 25 aprile 1947, fornì un concreto modello operativo che finì per imporsi, con tempi più o meno lunghi, su scala nazionale. La nascita del primo istituto storico della resistenza su base regionale rappresentò anche un punto di non ritorno nei rapporti fra la dirigenza dei CLN settentrionali e l’amministrazione archivistica. Il 13 luglio di quello stesso anno si tenne infatti a Torino un incontro fra Emilio Re, in qualità di commissario agli Archivi di Stato, i rappresentanti dei CLN lombardo, veneto, ligure, toscano ed emiliano, e quelli dell’Istituto storico piemontese, l’unico a quella data già legalmente costituito, allo scopo di mettere a punto indirizzi scientifici comuni per la raccolta e la valorizzazione della documentazione relativa alla Resistenza, ormai definitivamente demandate ai nascenti Istituti. Sulla base delle considerazioni puntualmente illustrate nella relazione trasmessa all’Ufficio centrale degli Archivi di Stato il mese successivo, Re ritenne più opportuno adottare nei confronti degli Istituti un atteggiamento aperto, che mettesse fine alle contrapposizioni dell’anno precedente e consentisse da una parte la salvaguardia immediata di documentazione che altrimenti avrebbe corso gravi rischi di dispersione, dall’altra il suo razionale ordinamento. Pertanto, accantonando le polemiche su chi fosse il soggetto legittimamente deputato a conservare gli archivi dei disciolti CLN, egli volle piuttosto precisare quali fossero “le necessarie garanzie sulla conservazione e la raccolta dei documenti” che lo Stato chiedeva agli Istituti per consentir loro la conservazione autonoma degli atti: in primo luogo la pubblicazione di un censimento di tutta la documentazione rintracciata[21].

La positiva conclusione del contrasto con l’amministrazione statale venne ufficialmente sancita nel corso della seduta del Consiglio superiore degli archivi del 1 luglio1948[22], durante la quale Emilio Re riuscì a far approvare la linea di condotta da lui seguita fino a quel momento, sostenendo che, per quanto in linea di principio gli archivi dei CLN dovessero considerarsi di pertinenza statale, i soggetti più qualificati a reperire e a censire i fondi documentari che testimoniavano le vicende del movimento di liberazione nazionale erano gli Istituti storici della Resistenza, in quanto essi erano gli unici in grado di assicurarsi la fiducia di chi custodiva le carte, salvaguardandole così dalla dispersione o dalla distruzione.

3. La nascita dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria

Secondo la testimonianza lasciataci da Luciano Bolis, direttore dell’Ufficio stralcio del CLN ligure,[23] egli venne sollecitato a promuovere la costituzione di un Istituto storico per la Resistenza in Liguria da Giorgio Vaccarino, che nella primavera del 1947 si recò appositamente a Genova per illustragli quanto si stava attuando in Piemonte. Fino a quel momento Bolis non aveva preso parte attiva al dibattito sulla destinazione degli archivi dei CLN: dai verbali del congresso genovese del dicembre 1946 risulta infatti che a intervenire su quell’argomento, in rappresentanza della Liguria, erano stati Azzo Toni e Pilade Queirolo. Il progetto di creazione di una rete di istituti per la storia della Resistenza, descrittogli da Vaccarino, incontrò comunque la sua approvazione, anche perché gli avrebbe consentito di risolvere un pressante problema pratico, quello di dare una congrua sistemazione al “voluminoso archivio del CLN regionale”, all’epoca conservato in un appartamento requisito dal CLN nei giorni della Liberazione, che però avrebbe dovuto essere riconsegnato al proprietario.[24] Bolis venne pertanto invitato a partecipare all’incontro torinese del 13 luglio del 1947, e certo fu in quell’occasione che avvenne il suo incontro con Emilio Re.

“Ebbi la fortuna di conoscere il dott. Bolis a Torino nel luglio scorso, e ne conservo naturalmente un’ottima impressione”, scriveva il 31 agosto 1947 Emilio Re a Matteo Sandretti[25]. “Malgrado il suo nome, era repubblicano, oltre che un uomo di cultura, e m’ispirò subito fiducia”[26] asseriva molti anni dopo Luciano Bolis, rievocando la figura del funzionario dell’amministrazione archivistica con cui aveva concordato il deposito presso l’Archivio di Stato di Genova della documentazione CLN. Il rapporto di reciproca stima che s’instaurò fra Bolis e Re rese dunque possibile sperimentare una forma di collaborazione fra amministrazione statale e dirigenza dei CLN che non ebbe riscontri in altre realtà regionali, e che doveva rivestire per entrambi una valenza particolare. L’atteggiamento di Bolis nei confronti degli archivi della Resistenza era infatti molto meno intransigente di quello di altri uomini di cultura e combattenti per la liberazione. Pur rispettando e comprendendo le posizioni di chi si sentiva incline “a non far fiducia allo Stato; meglio a quello stato, considerato, in parte anche con ragione, come reazionario e comunque non troppo ben disposto nei confronti della Resistenza che, anziché valorizzare, tendeva piuttosto a far dimenticare al più presto”,[27] egli si dichiarò più volte favorevole a un’attiva partecipazione dell’amministrazione statale nella valorizzazione e nello studio della documentazione prodotta dai CLN e dalle formazioni partigiane, in quanto gli Istituti storici della Resistenza avrebbero dovuto operare “nello Stato e trovarvi diritto di cittadinanza come ogni altra manifestazione della vita nazionale”[28].

Da parte sua Emilio Re vide probabilmente nella disponibilità al dialogo di Bolis l’occasione per rivendicare agli Archivi di Stato un ruolo di consulenza scientifica e di conservazione attiva che veniva loro negato altrove.

Il primo passo di questa azione comune furono due incontri tenutisi a Genova il 5 e l’8 settembre 1947. Il primo di essi, a cui vennero invitati gli esponenti dei partiti del CLN ligure, ebbe natura essenzialmente “politica”, in quanto diede a Re l’occasione di precisare, di fronte al “timore manifestato che i documenti del CLN, una volta eventualmente consegnati agli Archivi di Stato, vi fossero per così dire “inghiottiti” e praticamente sparissero”, che al contrario la documentazione depositata sarebbe stata sempre consultabile da parte dei membri del CLN o da loro rappresentanti, e che comunque i limiti alla consultabilità degli atti di natura riservata avrebbero potuto essere precisati nel testo della convenzione di deposito.[29] La seconda riunione, di natura tecnica, si tenne invece presso la Soprintendenza archivistica, che allora aveva sede, come l’Archivio di Stato, in via Tommaso Reggio, allo scopo di mettere a punto le concrete modalità di collaborazione fra archivisti di Stato e rappresentanti del CLN: questi ultimi avrebbero dovuto coordinare le operazioni di reperimento del materiale documentario ancora detenuto da privati, mentre gli archivisti si sarebbero occupati del riordino e dell’inventariazione. Fu forse allora che Bolis venne accompagnato a visitare i depositi dell’Archivio, di cui ci ha lasciato una testimonianza molto suggestiva nelle sue memorie: essi gli evocarono “un senso positivo di stabilità e sicurezza, contrastanti con il crescente disordine del mondo esterno, dove noi ex-resistenti ci trovavamo ormai sordamente costretti alla difensiva”[30].

I tempi e i modi con cui si pervenne al deposito dell’archivio del CLN ligure furono in tutti i casi assai ponderati: nel corso della prima riunione dei rappresentanti dei partiti del CLN, convocata da Bolis l’8 ottobre del 1947 per discutere la proposta di costituire in Liguria un istituto storico sul
modello piemontese, in merito alla destinazione degli archivi non venne presa alcuna decisione definitiva, in attesa che Azzo Toni, che come si è visto non era favorevole alla collaborazione con l’amministrazione statale, sondasse la possibilità di ottenere locali idonei dal comune.[31] Soltanto il 19 novembre successivo, nel deliberare di costituire la sede del neonato istituto presso la Casa di Mazzini, veniva approvata la proposta di depositare le carte presso l’Archivio di Stato. E’ evidente che in quell’occasione Bolis poté far pesare il fatto che i locali assegnati all’Istituto erano troppo ristretti per potervi trasferire la tutta la documentazione, tuttavia vennero concessi a Toni altri dieci giorni di tempo per verificare se non fosse possibile trovare soluzioni alternative. Il tentativo, comunque, non dovette dare esiti favorevoli, in quanto il 20 dicembre 1947 il comitato direttivo dell’Istituto chiese ufficialmente al CLN regionale di devolvergli il suo patrimonio archivistico, ad eccezione delle carte necessarie a concludere le pratiche ancora pendenti presso l’Ufficio stralcio. Infine il 21 gennaio 1948 il consiglio direttivo dell’Istituto, preso atto dell’avvenuta consegna, deliberò di “dare corso esecutivo alla deliberazione precedentemente presa in data 19.11.1947 di costituire dette carte in deposito presso la locale direzione degli Archivi di Stato”.

La consegna della documentazione avvenne pertanto attraverso un iter procedurale che manteneva all’Istituto la proprietà dell’archivio, lasciando aperta la possibilità di revoca nel momento in cui esso, come è avvenuto recentemente, si fosse dotato di una sede appropriata. Il versamento da parte di un ente in via di scioglimento, com’era a quell’epoca l’Ufficio stralcio del CLN, avrebbe invece compromesso ogni successiva possibilità di riconsegna, in quanto l’archivio sarebbe divenuto parte del demanio statale. Nella convenzione di deposito veniva inoltre previsto che l’Archivio di Stato avrebbe provveduto all’inventariazione dell’archivio, e che la consultazione sarebbe stata concessa ai soggetti autorizzati dall’Istituto.

Insieme all’archivio del CLN, venne inoltre depositato quello del disciolto Partito d’Azione ligure, che non era confluito nel Psiup come avvenne in sede nazionale.[32]

4. Il proseguimento dell’attività di acquisizione documentaria dell’Istituto ligure e i lavori di inventariazione

La collaborazione fra Archivio di Stato di Genova e Istituto ligure, così tenacemente voluta da Bolis e da Re, s’inaridì comunque nel giro di pochi anni. Non risulta infatti che i direttori dell’Archivio, a parte Felice Perroni[33], abbiano mai preso parte attiva ai progetti scientifici dell’Istituto, e Bolis stesso espresse, nelle sue memorie, il rammarico che l’archivio del CLN non fosse stato ancora valorizzato nel modo che si era atteso[34]. Da parte dell’Istituto, una volta che Bolis si fu dimesso dalla carica di direttore, venne di conseguenza riemergendo un atteggiamento di diffidenza verso l’amministrazione archivistica che si concretizzò nella proposta di revoca del deposito dell’archivio CLN avanzata dal nuovo direttore Amedeo Viale e lungamente discussa nella seduta del consiglio direttivo del 30 ottobre 1957. A dire il vero, le ragioni addotte da Viale appaiono dai verbali alquanto contraddittorie, in quanto da una parte egli asseriva che il materiale depositato non era stato adeguatamente “catalogato”, e che quindi sarebbe stato meglio farselo riconsegnare per consentirne una migliore fruizione; dall’altra però lamentava che in archivio “può andare chiunque col permesso dell’Istituto Storico, a sfogliare e maneggiare i documenti che in tal modo si deteriorano sempre più”, mentre a suo parere sarebbe stato più opportuno effettuare una “selezione accurata” dei documenti “veramente interessanti”, da far consultare comunque soltanto in microfilm o fotocopia. Insomma non si comprende bene se prevalessero, nella sua proposta, esigenze di maggiore divulgazione o di maggiore riservatezza. Ciò che risulta assai chiaro è piuttosto il desiderio di allinearsi con gli altri Istituti dell’Italia settentrionale, nessuno dei quali aveva documentazione depositata presso gli Archivi di Stato. La proposta di Viale, che incontrava l’aperto sostegno del presidente Mario Cassiani Ingoni, venne approvata con l’unico voto contrario dello storico Teofilo Ossian De Negri, che in quell’occasione si espresse anche a nome di Lazzaro Maria De Bernardis, il quale tuttavia nella seduta consiliare successiva, tenutasi il 20 febbraio 1958, abbracciò l’opinione della maggioranza. Anche questa volta, comunque, il tentativo si arenò di fronte all’evidente mancanza di spazi idonei. Dopo aver vanamente cercato di ottenere dall’Ufficio comunale di Belle arti ulteriori locali presso la Casa Mazzini, la direzione dell’Istituto dovette nuovamente rinunciare a riunire presso di sé tutto il materiale archivistico di sua proprietà: nella riunione del comitato direttivo del 13 gennaio 1962, Cassiani Ingoni ammise che la restituzione appariva difficile da ottenere in breve tempo, e sottolineò che comunque il materiale conservato presso l’Archivio di Stato risultava agevolmente consultabile[35]. Risale probabilmente a quegli anni una relazione, non datata né firmata, sui “documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Genova”, tendente a dimostrare che essi erano stati oggetto di un riordinamento maldestro: “I documenti sono stati divisi in buste dai funzionari dell’Archivio di Stato di Genova, seguendo un criterio ispirato alla esistenza dei vari Uffici nell’ambito del CLN per la Liguria; le buste stesse sono poi state numerate progressivamente, ignorando la suddivisione per argomenti”. Secondo l’anonimo estensore della relazione, l’ordine prescelto non si sarebbe sempre rivelato “il più felice”[36]. Si trattava di una valutazione oggi non più condivisibile, e probabilmente determinata dalla scarsa preparazione archivistica del relatore, come dimostrano le verifiche effettuate nel corso dell’ultimo intervento di inventariazione dell’archivio, di cui si darà conto più avanti. Semmai va rilevato che lo strumento di consultazione predisposto, un mero elenco di consistenza, non dava conto della complessa struttura del fondo e soprattutto non ne metteva in luce la natura di archivio di concentrazione, costituito presso l’Ufficio stralcio del CLN regionale mediante la progressiva consegna dei documenti dei CLN locali. Questa caratteristica del resto finì per essere trascurata dagli stessi dirigenti dell’Istituto ligure, come dimostra la scelta, effettuata nel 1982, di consentire che la documentazione del CLN provinciale di Imperia, insieme a quella degli organismi subalterni, fosse trasferita dall’Archivio di Stato di Genova al locale Istituto per la storia della Resistenza[37].

La proposta di revoca del deposito dell’archivio CLN si inseriva in tutti i casi in un progetto più complessivo di valorizzazione del patrimonio documentario dell’Istituto genovese, che era stato largamente incrementato da una donazione effettuata da Giambattista Lazagna[38] proprio fra il 1956 ed il 1957. Incaricata della complessa attività di sistemazione documentaria e di reperimento e acquisizione di nuove testimonianze scritte fu per molti anni Maria Eugenia (detta Genny) Burlando, che era stata segretaria del CLN ligure dal periodo della clandestinità fino allo scioglimento, ed entrò poi a far parte del personale dell’Istituto storico della Resistenza a partire dal 1956[39].

Nella seduta del direttivo del 12 marzo 1956, Cassiani Ingoni fece presente la necessità di riordinare il materiale archivistico conservato in sede, costituito da documenti messi a disposizione da vari esponenti della Resistenza ligure dopo il deposito delle carte del CLN all’Archivio di Stato, e propose che l’intervento venisse affidato per l’appunto a Genny Burlando, coadiuvata a titolo volontario dalla signora Sardo, sorella di Ferruccio Parri, sotto la direzione di Gianbattista Lazagna. Nella successiva seduta del 16 luglio 1958 il lavoro di riordino venne descritto come “già bene avanzato” e la Burlando fu ufficialmente nominata responsabile “sia dell’Archivio già esistente presso l’Istituto […] che degli Archivi dei CLN Liguria, depositati presso l’Archivio di Stato, e dei quali si spera e presume sollecita la restituzione”. La richiesta di restituzione, come si è visto, venne poi lasciata cadere, né sono state reperite testimonianze in merito a interventi effettuati dalla Burlando sul materiale depositato in Archivio di Stato: è probabile che riguardo ad esso il suo incarico si sia limitato a prenderne visione e conoscenza per poter meglio orientare gli studiosi che, tramite l’Istituto, chiedevano di consultarlo. L’attuale sistemazione della documentazione allora conservata presso l’Istituto risale invece indiscutibilmente al riordinamento avviato a partire dal 1956.

Né Genny Burlando né Giambattista Lazagna erano, inutile nasconderlo, degli archivisti, e quindi il loro operato non si fondò su di un solido bagaglio dottrinario, ma soltanto sull’entusiasmo e sul desiderio di tramandare la memoria di eventi a cui avevano preso parte direttamente. In assenza degli indirizzi scientifici che solo la partecipazione attiva del personale dell’amministrazione archivistica avrebbe potuto fornire (e va qui ricordato che all’epoca direttore dell’Archivio di Stato era Giorgio Costamagna, che per preparazione e per interessi di studio non poteva forse dirsi il soggetto più adatto a offrire consulenza in materia di archivi contemporanei) l’ordinamento della documentazione che l’Istituto aveva già acquisito, e che venne successivamente acquisendo, fu effettuato secondo criteri del tutto empirici. Sostanzialmente i documenti di qualsiasi provenienza vennero ripartiti in alcuni fondi artificiali, e raccolti in buste e fascicoli sulla base di una griglia di classificazione che apparentemente ne avrebbe agevolato il reperimento. In realtà questa scelta, del resto assai comune fra i non addetti ai lavori, ha reso col tempo estremamente difficile risalire alla provenienza di questa cospicua raccolta di materiali del tutto eterogenei, per quanto in molti casi siano noti i nomi dei donatori o depositanti. Solo successivamente venne diffondendosi anche fra i responsabili degli archivi degli Istituti per la storia della Resistenza, grazie all’azione di coordinamento scientifico svolta dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, la consapevolezza che gli archivi devono essere conservati in base alla provenienza, e pertanto gli ultimi fondi acquisiti dall’Istituto ligure non sono più stati scomposti nelle grandi raccolte tematiche istituite a partire dal 1957-58, ma più correttamente mantenuti distinti fra loro[40].

Una prima descrizione di tutto il materiale documentario di proprietà dell’Istituto venne pubblicata a cura di Renato Monteleone e Mauro Negri sulla rivista dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia nel 1972[41], e successivamente ristampata senza modifiche nella Guida sommaria agli archivi degli Istituti di storia della Resistenza del 1974.[42] A quell’epoca la consistenza della documentazione conservata presso la sede veniva quantificata in 38 buste, ripartite “per argomenti” nel seguente modo: Attività militare, Attività politica, Periodo badogliano, Fondo Gimelli. Come ben si può comprendere, le prime tre ripartizioni erano del tutto artificiose, mentre il “fondo Gimelli”, essendo costituito esclusivamente da documenti raccolti da Giorgio Gimelli per la stesura della monografia Cronache militari della Resistenza in Liguria,[43] poteva dirsi l’unico dotato di una sua organicità. All’interno di ciascun “argomento”, la scansione dei fascicoli avrebbe dovuto rispettare “l’ordine gerarchico degli organismi militari o politici” che operarono in Liguria fra 1943 e 1947.[44] Si trattava però una classificazione costruita a priori, come dimostra il fatto che certi fascicoli risultavano istituiti soltanto sulla carta “in attesa di future acquisizioni”; inoltre, mentre il materiale classificato come Attività militare, riguardante l’attività delle formazioni partigiane, era già di notevole consistenza, quello raccolto nella ripartizione Attività politica risultava piuttosto esiguo e costituito in massima parte dai documenti di CLN locali che per vari motivi non erano pervenuti all’Ufficio stralcio di Genova nel 1946, se non addirittura da fotocopie di documenti conservati nel fondo CLN depositato in Archivio di Stato, il che costituisce un’ulteriore conferma dei difficili rapporti che a quell’epoca intercorrevano fra i responsabili dell’archivio dell’Istituto e l’amministrazione statale. Relativamente al fondo CLN, inoltre, i curatori dell’inventario adottarono criteri descrittivi eccessivamente sintetici e fecero proprio il giudizio, già espresso nell’anonima relazione citata in precedenza, che la documentazione fosse stata riordinata in modo arbitrario.

L’inventario Monteleone-Negri venne riproposto, ma con significative variazioni, anche nella seconda Guida agli archivi della Resistenza, curata dalla Commissione archivi e biblioteche dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia e pubblicata nel 1983 nelle collane dell’amministrazione archivistica.[45] Le modifiche apportate riguardavano soprattutto il livello di analiticità delle descrizioni: quelle relative ai fondi conservati presso la sede vennero rese più snelle, mentre maggiore spazio fu attribuito al fondo CLN, che si scelse di descrivere busta per busta, e non più accorpando fra loro buste di contenuto analogo. Dalle note all’inventario di quel fondo furono inoltre eliminate le osservazioni più critiche nei confronti delle
presunte manipolazioni compiute dal personale dell’Archivio di Stato.

Un successivo e cospicuo accrescimento del patrimonio documentario dell’Istituto si verificò pochi anni più tardi, nel 1986, a seguito dell’acquisizione del fondo denominato “Gimelli 2”, costituito dai documenti utilizzati per la nuova edizione riveduta e ampliata di Cronache militari della Resistenza in Liguria.[46] Questa circostanza sollecitò nella direzione dell’Istituto l’esigenza di dotarsi di un nuovo strumento di ricerca, che sfruttasse le potenzialità offerte dalla tecnologia informatica per mettere a disposizione dei consultatori non soltanto un tradizionale inventario su supporto cartaceo ma anche una banca dati interrogabile per parole chiave. Il programma utilizzato fu il CDS/ISIS, a quell’epoca assai diffuso in quanto sviluppato dall’Unesco e messo gratuitamente a disposizione di istituzioni e enti culturali: grazie a questo nuovo strumento di lavoro fu possibile predisporre una descrizione per singoli fascicoli più analitica ed omogenea rispetto a quelle precedenti. Ma l’intervento[47] non si limitò alla sola verifica e integrazione delle descrizioni precedenti. Anche le introduzioni ai vari “fondi” furono radicalmente riviste: di ciascuno di essi vennero infatti sintetizzate, per la prima volta in modo esauriente, le modalità di formazione, segnalando se si trattasse di miscellanee costituite da documenti di varia provenienza, oppure di materiale riferibile a un unico soggetto, e se l’ordine fosse stato attribuito presso l’Istituto o risultasse da elenchi precedenti. Rispetto alla Guida del 1983, inoltre, la consistenza e la struttura dell’archivio risultavano variate, non soltanto per l’acquisizione del secondo fondo Gimelli. Infatti i documenti del cosiddetto fondo “badogliano”, la cui consistenza si riduceva del resto a una sola busta, erano stati nel frattempo inseriti nel più vasto “fondo Burlando”, ossia un’altra raccolta di documentazione in originale e in copia riguardante gli anni compresi fra la prima e la seconda guerra mondiale, avviata da Genny Burlando in base agli stessi criteri da lei seguiti nell’organizzare la documentazione già in possesso dell’Istituto, e successivamente intitolata a suo nome. Accanto alle due grandi ripartizioni Attività militare e Attività politica compariva inoltre per la prima volta il fondo denominato “Documenti vari”, costituito assemblando insieme materiale documentario del tutto eterogeneo, tra cui le carte della Commissione regionale per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano e gli atti della Commissione d’inchiesta sul salvataggio del porto di Genova, la cui costituzione era stata promossa dall’Istituto storico della Resistenza nel 1948, allo scopo di appurare chi fossero state le organizzazioni, le istituzioni e i personaggi che avevano cooperato, talvolta all’insaputa l’uno dell’altro, alla difesa di questa fondamentale infrastruttura cittadina dalla distruzione minacciata in caso di ritirata delle truppe tedesche.[48]

Descritti ex novo furono anche, oltre al “Gimelli 2”, il fondo Toscano e il fondo Scrivia, costituiti rispettivamente dai documenti in copia relativi alla storia della brigata garibaldina Oreste donati in varie riprese da Lilio Giannecchini (Toscano), che ne era stato il vicecomandante, e dalle carte di Aurelio Ferrando (Scrivia), comandante della divisione Pinan Chichero.

Per quanto riguarda il fondo CLN, l’introduzione venne completamente riscritta in modo più equilibrato, avanzando per la prima volta l’ipotesi che la sistemazione del materiale documentario fosse precedente al trasferimento presso l’Archivio di Stato. La relativa descrizione, comunque, venne ancora una volta mantenuta a un livello di minore analiticità rispetto a quello adottato per i fondi e le raccolte conservate presso l’Istituto.

Nel 1999 il trasferimento dell’Istituto in una nuova ed ampia sede rese finalmente possibile la vecchia aspirazione di revocare il deposito dell’archivio del CLN, e quindi di riunificare in un unico deposito tutto il materiale archivistico posseduto[49]. Al ricongiungimento fisico della documentazione fece seguito un nuovo progetto di ricerca, volto a riesaminare criticamente gli inventari precedenti e ad inserire la descrizione dei fondi nella Guida on-line degli archivi della Resistenza promossa dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia[50]. Le scelte operative adottate dal gruppo di lavoro incaricato dell’intervento[51], di cui per la prima volta dopo il 1947 faceva parte anche un membro della Soprintendenza archivistica, furono di dotare soltanto di una nuova descrizione e non alterare in alcun modo i fondi che si erano venuti sedimentando presso l’Istituto, in quanto i loro criteri di ordinamento, pur se largamente opinabili, potevano ormai dirsi storicizzati, essendo essi stessi testimonianza del modo con cui si era deciso di organizzare la memoria della lotta di liberazione in Liguria. Inoltre l’impossibilità di risalire alle provenienze originarie rendeva praticamente irreversibile la sistemazione che essi avevano ricevuto. Indispensabile appariva invece un’analisi più puntuale, dal punto di vista storicoarchivistico, del fondo CLN, sul cui ordinamento erano state più volte avanzate perplessità, e la cui struttura non era stata finora pienamente messa in luce. In questo caso, infatti, ci si trovava in presenza di un archivio, o meglio di più archivi, prodotti dai vari CLN operanti in Liguria nel corso della loro attività, e quindi suscettibili di un riordinamento, seppure virtuale, che cercasse di ripristinarne l’ordinamento originario.

La chiave di comprensione della complessa articolazione interna di questo materiale è stata ricercata sia nelle disposizioni sulla tenuta di archivi e protocolli emanate dal CLN Liguria nel 1945 che nella già ricordata circolare diffusa dall’ufficio stralcio del CLNAI il 31 luglio 1946, la quale oltre a disporre il concentramento degli archivi dei CLN periferici presso gli uffici stralcio regionali aveva stabilito minutamente i criteri per l’ordinamento della documentazione così raccolta. L’esame congiunto di queste disposizioni ha consentito di chiarire alcuni aspetti non evidenziati negli inventari precedenti: in primo luogo che sia la ripartizione dei “documenti del periodo della resistenza” da quelli “del periodo che va dalla liberazione dell’Alta Italia allo scioglimento dei Cln”, sia l’ordinamento per uffici dei documenti relativi al periodo di governo dei CLN, nonché la successione dei fascicoli all’interno di entrambe le partizioni, erano stati stabiliti proprio nella circolare del 31 luglio[52]. In sostanza, quindi, il riscontro fra le indicazioni archivistiche fornite dal CLNAI e l’ordine in cui si presentava la documentazione depositata presso l’Archivio di Stato ha consentito di sfatare il pregiudizio che la sistemazione dell’archivio CLN fosse stata effettuata con criteri arbitrari dal personale dell’amministrazione archivistica: perfino la commistione di carte di argomento eterogeneo riscontrata in alcuni fascicoli, per lungo tempo attribuita a stravaganti accorpamenti effettuati dai funzionari dell’Archivio, è risultata dipendere piuttosto dalla scorretta tenuta delle carte presso gli uffici in cui esse furono prodotte, non sanata in sede di riordinamento dall’Ufficio stralcio del CLN, presumibilmente per mancanza di tempo. Ci si trova quindi in presenza di un complesso documentario sostanzialmente integro, organizzato in quel modo fin dall’origine, e cioè dal momento della concentrazione degli archivi dei CLN liguri presso la sede dell’Ufficio stralcio genovese. Della sostanziale integrità del fondo danno del resto testimonianza anche i numerosi elenchi redatti presso gli uffici in occasione della consegna degli atti, attraverso i quali è stato possibile evidenziare scarsissime lacune e verificare come in numerosi casi la documentazione fosse stata lasciata fisicamente intatta, al punto tale da poterla ancora rinvenire condizionata negli incarti originali, spesso costituiti da semplici buste commerciali o da fascette in materiale “povero”, data la difficoltà, nell’immediato dopoguerra, di procacciarsi adeguato materiale di cancelleria. Soltanto gli archivi dei CLN provinciali recano tracce di risistemazioni successive, quali ad esempio la sovrapposizione di diverse segnature o classificazioni e il riutilizzo delle camicie dei fascicoli. Anche la scelta di non effettuare alcun tipo di scarto, concordata nel 1947 fra Bolis e Perroni nonostante il parere contrario di altri esponenti del CLN, ha consentito che questo cospicuo complesso archivistico si sia conservato nella sua interezza[53].

La ricostruzione dei tempi e delle modalità di formazione ha dunque evidenziato come non fosse possibile considerare il complesso della documentazione pervenuta all’Istituto dall’Ufficio stralcio del CLN come un fondo unico, seppure cronologicamente distinto nelle due sezioni pre e postliberazione, ma che al contrario esso costituiva un grande “superfondo” in cui sono stati concentrati tanti archivi distinti, costituiti in primo luogo dalle carte del CLN genovese, che aveva svolto contemporaneamente le funzioni di organo di governo a livello provinciale e regionale, poi da quelle dei CLN di La Spezia, Savona e Imperia (queste ultime, come si è detto, stralciate nel 1982), e quindi da quelle di numerosissimi CLN locali e aziendali. Si è quindi optato per la scelta, onerosa ma necessaria, di dotare ciascuno di questi fondi, compresi quelli di consistenza minima, di una introduzione storico-istituzionale e archivistica, da cui fosse possibile ripercorrere in modo sintetico la vita del soggetto produttore e le vicende della trasmissione dei suoi atti all’archivio del CLN regionale, nella maggior parte dei casi documentata dall’elenco del materiale consegnato. Per quanto riguarda la successione dei fascicoli all’interno dei singoli fondi, non si è ritenuto opportuno procedere a riordinamenti fisici, trattandosi anche in questo caso di materiale già largamente consultato e più volte inventariato; si è però proceduto a riordinamenti di tipo logico, resi possibili dal programma adottato, laddove si è ritenuto che la visualizzazione delle descrizioni in un ordine diverso da quello in cui è materialmente sistemata la documentazione potesse essere di aiuto ai ricercatori.

Il fondo del Partito d’Azione ha richiesto un trattamento analogo, in quanto in esso sono compresenti carte prodotte sia dall’Unione ligure, organo a competenza regionale, che dalla Federazione provinciale di Genova, le quali sono state in parte frammiste nel corso di un tentativo di riordinamento probabilmente anch’esso effettuato presso l’Ufficio stralcio.

A conclusione dell’intervento, che è già in fase di avanzata realizzazione, sarà quindi possibile raggiungere due importanti obiettivi: innanzi tutto rendere consultabile in rete la descrizione dell’intero patrimonio documentario dell’Istituto, in secondo luogo favorire la valorizzazione dei fondi del CNL e del Partito d’Azione ligure, finora non compiutamente sondati forse anche perché forniti di strumenti di ricerca troppo sommari.

Note:

[1] Nell’aprile del 1997 l’Istituto, in seguito a una modifica statutaria, ha assunto la denominazione di Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea.[2] G. De Luna, Tre generazioni di storici. L’Istituto per la storia della Resistenza in Piemonte 1947-1987, in “Italia contemporanea”, n. 172 (settembre 1988), p. 53.[3] Ibid.[4] Entrambe le circolari, datate rispettivamente 1 e 8 luglio 1946, si conservano in Archivio dell’Istituto storico della Resistenza in Piemonte (d’ora in poi ARP), b. E ISRP 1, fasc. 1.[5] Ibid., CLN della Lombardia, Modalità di scioglimento dei CLN, 1 luglio 1946.[6] Una copia della circolare si conserva in Archivio dell’Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (d’ora in poi ARL), Fondo CLN postliberazione, b. 34, fasc. 2.[7] Emilio Re, funzionario dell’amministrazione archivistica, venne nominato Commissario per gli archivi nell’ottobre del 1944, dopo cioè che l’Amministrazione centrale degli archivi rientrò nella sede romana. In tale veste si occupò, fin dai primi giorni della Liberazione, del recupero della documentazione degli organi centrali dello Stato, fatta trasferire al nord dal governo della Repubblica di Salò (cfr. E. Gencarelli, Gli archivi italiani durante la Seconda guerra mondiale, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, “Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato 50”, 1979, p. 56). Assai meno noti e studiati sono gli stretti rapporti che Re intrattenne con gli uffici stralcio dei CLN dell’Italia settentrionale, per garantire la salvaguardia della documentazione relativa al movimento di liberazione nazionale secondo modalità condivise con l’amministrazione archivistica.[8] Si veda a questo proposito l’ampia relazione avente per oggetto: Gli Archivi della Resistenza e la loro assicurazione al patrimonio storico Nazionale, trasmessa da Emilio Re all’Ufficio centrale degli Archivi di Stato in data 28 agosto 1947, prot. 8953.39, di cui si conserva una copia in ARP, b. E ISRP 1, fasc. 2.[9] Si trattava della legge 22 dicembre 1939, n. 2006, la quale all’art. 14 stabiliva la non consultabilità degli atti di carattere politico e riservato posteriori al 1870 “riguardanti la politica estera o l’amministrazione interna”. Il termine mobile di 40 anni (estendibile in taluni casi a 50 e 70) per la consultazione dei documenti d’archivio venne introdotto soltanto col successivo DPR n. 1409 del 30 settembre 1963.[10] Diverse copie del verbale del convegno di conservano in ARL, Fondo CLN postliberazione, b. 21a, fasc. 7.[11] Ibid., p. 26[12] Ibid., p. 27.[13] Ibid., p. 30. Il verbale non riporta il nome dell’oratore.[14] Ibid., p. 29.[15] Ibid.[16] Ibid., p. 30.[17] Ibid., p. 31.[18] Lettera dell’Ufficio stralcio del CLN lombardo (firmata Bendiscioli) all’Ufficio stralcio del CLN piemontese, 10 gennaio 1947, in ARP, b. E ISRP 1, fasc. 2.[19] “Non è azzardato supporre che la stessa Giunta Centrale degli studi storici vedrebbe, se non proprio con sospetto, certo con poca sensibilità e comprensione, studi storici indirizzati a un campo nel quale gli storici “professionali” non sono esercitati, e per il quale molti sentono, per una mancata esperienza personale e per abito mentale, una instintiva riluttanza” (ARP, b. E ISRP 1, fasc. 2, Nota dattiloscritta di Alessandro Galante Garrone indirizzata a “cari compagni”, p. 2).[20] Ibid., pp. 2-3.[21] “Relazione del convegno tenuto a Torino il 13/7/1947 per la costituzione degli Istituti storici della Resistenza”, in ARP, b. E ISRP 1, fasc. 3.[22] Le trascrizioni dei verbali del Consiglio superiore degli archivi sono oggi consultabili in rete, dal sito www.archivi.beniculturali.it.[23] Sulla figura di Luciano Bolis, segretario del Partito d’Azione ligure nel periodo della clandestinità, medaglia d’argento al valor militare, in seguito esponente del Movimento federalista europeo e alto funzionario presso il Consiglio d’Europa, cfr. Dalla Resistenza all’Europa. Il mondo di Luciano Bolis, a cura di D. Preda e C. Rognoni Vercelli, Genova 2001, e in particolare per il periodo trattato il saggio di D. Veneruso, Luciano Bolis fondatore dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria e promotore dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.[24] L. Bolis, Le origini dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria (1946-1953), in “Storia e Memorie. Annali dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria”, 1989, pp. 156-157.[25] ARP, b. E ISRP 1, fasc. 2.[26] L. Bolis, Le origini… cit., p. 164[27] Ibid., p. 165.[28] Cfr. E. Ronconi, Quasi quarant’anni dopo, in “Italia contemporanea”, giugno 1986, n. 163, pp. 79-81.[29] Lettera del Soprintendente agli archivi Emilio Re all’Ufficio centrale degli Archivi di Stato del 12 settembre 1947, prot. 8953.39, di cui una copia si conserva in ARP, b. E ISRP 1, fasc. 3.[30] Ibid.[31] I verbali del Comitato direttivo dell’Istituto storico della Resistenza per la Liguria si conservano presso la sede dell’ILSREC.[32] L. Bolis, Le origini… cit., p. 156.[33] Felice Perroni fu anche fra i soci fondatori dell’Istituto, come risulta nell’atto rogato il 9 giugno 1950 che ne sancì legalmente la costituzione.[34] Ibid., p. 165.[35] La questione della restituzione dell’archivio del CLN venne affrontata, oltre che nelle sedute del consiglio direttivo già ricordate, in quelle del 16 luglio 1958, del 9 aprile e del 17 giugno 1959[36] Il testo della relazione è conservato nell’archivio dell’ILSREC, insieme all’inventario del fondo CLN redatto presso l’Archivio di Stato di Genova, in una cartella intitolata “Inventario analitico documenti archivi CLN liguri (1943-1947)”.[37] Il verbale di consegna dei documenti del CLN di Imperia all’Istituto storico della Resistenza di quella città venne redatto presso l’Archivio di Stato di Genova il 13 dicembre 1982, prot. 3157.VII/3/3.82.[38] L’avvocato Giambattista Lazagna, membro del consiglio direttivo dell’Istituto, era stato vicecomandante della divisione partigiana Cichero (sulla sua donazione cfr. Guida agli archivi della Resistenza, a cura della Commissione Archivi-Biblioteca dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1983, p. 551).[39] L’assunzione venne deliberata nella seduta del consiglio direttivo del 21 dicembre 1955.[40] Ciò si è verificato, ad esempio, per i documenti donati in più riprese dal comandante partigiano Lilio Giannecchini (Toscano), di cui i primi furono inseriti nella raccolta denominata “Fondo Attività militare”, mentre quelli consegnati in seguito furono conservati separatamente nel fondo che da lui prende il nome.[41] Guida sommaria all’archivio, a cura di R. Monteleone e M. Negri, in “Il Movimento di liberazione in Italia”, XXIV, nn. 106-108.[42] Guida sommaria agli archivi degli Istituti di storia della Resistenza, Milano, Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia, 1974, pp. 27-50.[43] I primi due volumi di G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vennero pubblicati rispettivamente nel 1965 e nel 1969 a cura dell’Istituto ligure, nell’ambito di un più vasto progetto editoriale sulla storia dell’antifascismo ligure avviato, in collaborazione con l’Università di Genova, nel quadro di analoghe iniziative promosse dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.[44] Guida agli archivi della Resistenza… cit., p. 552.[45] Guida agli archivi della Resistenza…, cit. In questa sede furono indicati come curatori della voce, oltre a Monteleone e Negri, anche Silvia Panti e Rossana Urbani.[46] G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, [1985], voll. 3.[47] Di cui vennero incaricati Stefano Benassi, Patrizia Bocconi e Erminia Ferriani.48[48] L. Bolis, Le origini, … cit., pp. 171-173.[49] La revoca del deposito è stata autorizzata dall’Ufficio centrale peri beni archivistici con nota del 7 giugno 200, prot. 2.18138.[50] L’ultima versione del programma, intitolata Guida. La versione informatica della “Guida agli archivi della Resistenza. Programmi, procedure, software e stampe, è stata presentata alla VI Conferenza europea degli archivi, tenutasi a Firenze dal 30 maggio al 2 giugno 2001.[51] Costituito da Stefania Paoletti, che ha lavorato sul fondo CLN, coadiuvata anche da Silvia Traversa, Francesca Alberico, a cui si deve la revisione delle descrizioni dei documenti dei fondi privati e Monica Colombara, che si è occupata del fondo del Partito d’Azione. Elisabetta Arioti, in qualità di soprintendente archivistico per la Liguria, ha coordinato l’intero intervento, il quale è stato finanziato grazie a un contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (CARIGE).[52] Cfr. nota 6.[53] “Lo stesso Cassiani, per esempio, ebbe poi a rimproverarmi di non aver effettuato una selezione dei documenti prima di consegnarli, in modo da eliminare quelli che, a suo giudizio, non presentavano un vero interesse storico; mentre io mi ero invece rigorosamente attenuto al consiglio di Perroni […] di non correre il rischio, così facendo, di eliminare, senza volerlo, anche qualcosa magari ritenuta al momento di scarsa rilevanza, ma che, per circostanze imprevedibili, avrebbe potuto rivestirne di più in seguito, sempre ai fini di una ricostruzione storica il più possibile completa e imparziale” (L. Bolis, Le origini…, cit, p. 165.

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