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Continuità e rotture nella storia del sistema penitenziario italiano 1943-1986 di Christian Giuseppe De Vito pubblicato su Italia Contemporanea n. 230 , marzo 2003

Una cappa di immobilismo grava sulla storia del sistema penitenziario italiano degli anni compresi tra il 1943 e il 1986, effetto del persistere della funzione emarginante del carcere, ma anche della ciclicità dei dibattiti specialistici, del continuo riproporsi di rigide gerarchie burocratiche e di prassi gestionali tipiche dell’istituzione totale. Si tratta di un quadro sul quale sembrano incidere solo superficialmente le innovazioni legislative, del resto limitate e frammentarie, introdotte da un ceto politico spesso disattento rispetto a questi temi. Le rotture sono per lo più frutto dell’azione di forze esterne, e sono concomitanti con eventi storici di più ampia portata: da un lato, la seconda guerra mondiale, con le sue distruzioni materiali e morali; dall’altro, la stagione del conflitto sociale e politico apertasi sul finire degli anni sessanta, attraverso l’intervento non uniforme della sinistra "extraparlamentare" in ambito carcerario. E se grande si rivela la forza ‘normalizzante’ della repressione e di un selettivo assorbimento delle istanze innovative, uno sguardo in controluce mostra quanto le contraddizioni strutturali e i meccanismi emarginanti siano presenti ancora nel sistema penitenziario odierno, appena coperti dal velo del tecnicismo.


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