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Madrine di 'ndrangheta e "fimmane" ribelli.
REGGIO CALABRIAlunedì 23 settembre 2024, ore 17:30
Combattenti li definisce Federica Iandolo. Capimafia, a volte anche più spietate e sanguinarie degli uomini. Tradizioni da tramandare, famiglia e “buon nome” da preservare. Sono l’elemento che consente la prosecuzione del governo mafioso perché genera i figli maschi, perché insegna loro l’odio e come e perché va compiuta la vendetta quando si subisce un torto, scrivono Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ne La malapianta. Una parte decisiva dell’organizzazione: “le donne sono il cordone ombelicale della ’ndrangheta” ha detto un pentito durante un maxiprocesso all’organizzazione criminale considerata la più potente al mondo. Una figura non adeguatamente analizzata, sulla quale aleggiano stereotipi di genere. Il corpo femminile posseduto dall’uomo di ’ndrangheta, dominato, ma anche “usato”.
Una scelta consapevole e strategica per allargare l’influenza utilizzando le donne che vanno in matrimonio a uomini di un’altra ‘ndrina. “Oggi le figlie dei boss frequentano l’università, diventano manager, afferma Giovanna Truda, entrano nelle stanze del potere, quelle in cui vengono prese le decisioni”. “Riescono a subentrare ai padri o ai fratelli, se arrestati per esempio, da un giorno all’altro, perché sanno già cosa fare”. Donne destinate a ruoli apicali, non solo gregari. Ma combattenti sa di tutto e di niente. Combattere per cosa, per chi? Frequentemente sono “fimmane”, capaci di sciogliere il cappio della ‘ndrangheta per dare un futuro migliore a sé stesse e ai propri figli. “Fimmane”, non donne, screditate, fatte passare per pazze, per rendere inattendibili le loro dichiarazioni. Non portatrici di verità, ma di dicerie spettacolarizzate. Negli ultimi tre anni però due film e una serie televisiva hanno messo in luce il potenziale delle voci delle pentite calabresi: A Chiara di Jonas Carpignano, Una femmina di Francesco Costabile e The Good Mothers di Elisa Amoruso e Julian Jarrold.
Tre sguardi diversi sull’esistenza e sulla resistenza silenziosa, duplice, delle donne di ‘ndrangheta, contro una narrazione appiattita sugli stereotipi famigliari e un’ambiguità difficile da cogliere. L’occasione per seguire alcune coordinate di lettura del fenomeno sarà la presentazione del volume di Federica Iandolo “Madrine di ‘ndrangheta” a Reggio Calabria il 23 Settembre nella Sala Gilda Trisolini di Palazzo C. Alvaro alle ore 17,30. All’incontro, organizzato dalla sezione “Nilde Iotti” dell’ANPI, dall’Istituto “U. Arcuri”, dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria e dall’associazione “Il Cuore di Medea”, parteciperanno Nuccia Guerrisi, storica e direttrice dell’Istituto “U. Arcuri”, Patrizia Gambardella, presidente della sezione Anpi Nilde Iotti di Reggio Calabria, Liliana Esposito Carbone e Filippo Quartuccio delegato alla cultura della Città Metropolitana di Reggio Calabria. locandina
Tipologia: Dibattito. Educazione alla cittadinanza. Eventi e News. Istituti associati. Presentazione. Vita dell'Istituto.Notizia inserita da: Istituto "Ugo Arcuri" per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea in provincia di Reggio Calabria