Su via Giovanni D’Achiardi e la mobilitazione dell’Università di Pisa
di Chiara Nencioni
L’assunzione delle responsabilità politiche e morali passa anche attraverso i nomi. “Le vite dei personaggi storici vanno considerate nella propria complessità e totalità, e intitolarvi una via implica un certo grado di coerenza tra le loro azioni e i valori della nostra società; fascismo e discriminazione non lo saranno mai”, così hanno scritto gli studenti di Pisa chiedendo una revisione toponomastica.
In questa stessa epoca in cui assistiamo all’abbattimento di statue, da quella di Cristoforo Colombo in America, dove ha inizio la “furia iconoclasta” a seguito della nascita del movimento Black Lives Matter, e in Italia si è imbrattata la statua di Indro Montanelli a Milano e si è “sbombolettata” quella di Vittorio Emanuele II a Torino (e, ahinoi, ad Affile si è eretto un mausoleo a Graziani) è necessario un profondo ripensamento anche dei molti retaggi toponomastici del fascismo.
È quello che sta tentando di fare l’università di Pisa, dove, il 27 gennaio (quindi in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria) il Senato accademico ha proposto la sostituzione del nome della via intitolata a Giovanni D’Achiardi.
Ma facciamo un passo indietro: Questa istanza ha mosso i primi passi grazie all’iniziativa del comitato “San Rossore 1938” che nell’estate di due anni fa ha lanciato una petizione on line (raggiungendo in breve tempo 24 mila firme), indirizzata al consiglio comunale e al sindaco di Pisa, Michele Conti (leghista, che non ha mai nascosto le sue simpatie fasciste), volta alla rimozione del nome del geologo e rettore dell’Ateneo pisano D’Achiardi (1872-1944), e dal 1934 senatore del Regno, responsabile dell’espulsione di centinaia di studenti e decine di docenti dell’Ateneo pisano in ottemperanza con quanto previsto dalle leggi razziali che, il 5 Settembre 1938, Vittorio Emanuele III firmò a San Rossore (tenuta nei dintorni di Pisa).
A lanciare l’appello, è stato Davide Guadagni, che nel 2018 è stato responsabile del Comitato organizzatore di “San Rossore 1938”, ciclo di iniziative promosse dall’Università di Pisa per ricordare l’80esimo anniversario della firma di quelle leggi. “A Pisa – si legge nell’appello lanciato su Change.org – furono cacciati e ‘sostituiti’ ben 20 docenti su 400, di cui – dopo il 1945 – solamente 5 sarebbero tornati; degli altri una, Enrica Calabresi, si suicidò per sfuggire alla deportazione e due, Ciro Ravenna e Raffaello Menasci, vennero inghiottiti dall’abisso della Shoah. Il numero degli studenti ebrei italiani rimane ancora oggi ignoto, mentre sappiamo che tutti i 290 studenti ebrei stranieri vennero espulsi […] l’allora rettore D’Achiardi fu il primo responsabile dell’epurazione dei docenti ebrei, a partire dalla compilazione della lista, sul censimento dell’estate 1938, e della selezione razziale degli studenti”.
L’iniziativa è stata sostenuta da cittadini, accademici e associazioni che da sempre si spendono per la memoria: comunità ebraica, ANED, ANPI e ANPPIA.
Lo stesso rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella, nel suo discorso pronunciato il 20 settembre 2018 in occasione della Cerimonia delle scuse dell’Accademia agli ebrei per la collaborazione delle Università alla politica delle leggi razziali, aveva detto: “Ci sono giorni in cui è bene che il presente incontri il passato, oggi abbiamo voluto che fosse uno di questi. Qui, molti anni fa, sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte”.
La mozione è stata poi presentata in Consiglio comunale (a prevalenza di centro destra) che lo scorso novembre l’ha respinta con 15 voti contrari, 12 favorevoli. La decisione è politica, anche se Paolo Cognetti, capogruppo della Lega, aveva dapprima tentato di camuffare la scelta ideologica sottolineando nel suo intervento “le tante difficoltà che si creano ai residenti quando si cambia il nome di una via (intestazioni di bollette, patenti, carte d’identità)”. Il medesimo capogruppo del partito di maggioranza aveva però individuato «anche problemi di opportunità storica: dovremmo contestare premi Nobel che sono stati nella Repubblica di Salò o attori che nel 1944 erano dall’altra parte. È un percorso estremamente delicato. Se vogliamo aprire gli archivi va bene, ma si aprono tutti». Più scopertamente reazionaria -E che altro aspettarsi?- la dichiarazione di Maurizio Nerini, di Fratelli d’Italia che ha parlato di “assoluta mancanza di aderenza alla realtà dei problemi che ci sono”.
E veniamo all’oggi: l’Università di Pisa continua la sua lotta di cultura antifascista sia attraverso la voce del rettore che quella degli studenti. Mancarella ha espresso “rammarico per il mancato accoglimento da parte dell’amministrazione comunale della richiesta di revoca dell’intitolazione della strada a Giovanni D’Achiardi” e a inizio febbraio è stata presentata in Senato accademico dagli studenti della lista “Sinistra Per…” una mozione nella quale si chiedeva una presa di posizione da parte dell’Ateneo, mozione poi approvata a maggioranza. “Ringrazio gli studenti per aver acceso i riflettori su questa importante questione portandola in Senato Accademico” ha commentato il rettore “chiediamo, quindi all’amministrazione comunale di rivedere la propria decisione. Abbiamo voluto dare un segnale forte: l’Università c’è e intende proseguire sulle orme delle iniziative promosse fino ad ora, con l’obiettivo di mantenere viva la fiaccola della memoria. Basti pensare al ciclo di eventi ‘San Rossore 1938’ con la cerimonia finale ‘del ricordo e delle scuse’, al conferimento della laurea magistrale honoris causa in Scienze per la Pace alla senatrice a vita Liliana Segre, oppure all’intitolazione dell’aula del Dipartimento di Agraria alla docente vittima della Shoah, Enrica Calabresi”.
Insomma a Pisa ci sono (quasi) tutti: cittadini, associazioni, studenti, accademici. Manca soltanto il sindaco, manca soltanto il comune di Pisa, riottoso. Di fronte ad una reazione all’inizio tiepida, sono scesi in campo gli studenti, ragazzi di 20 anni, che hanno preso posizione. E già questo è una svolta importante. I giovani non sono tutti né “sdraiati” né “fannulloni” né disinteressati al passato al presente e apatici verso il futuro.
La proposta è quella di sostituire, per quella via, il nome di Giovanni D’Achiardi con quello di
Raffaello Menasci, professore di patologia presso l’Università di Pisa, che a seguito delle leggi razziali, prontamente applicate proprio da D’Anchiardi, perse la cattedra. Traferitosi con la moglie, Piera Rossi, ed il figlio Enrico, da parenti a Roma, viene prelevato con la famiglia nel rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943 ed insieme al figlio è ucciso all’arrivo ad Auschwitz. Il 17 gennaio 2013 era stata posta una Stolperstein a Livorno, dove era nato, in via Verdi 101.
La scelta del nome di Menasci non è casuale: agli altri due docenti universitari pisani, espulsi dall’ateneo a causa delle leggi razziali puntigliosamente applicate D’Achiardi, morti come vittime della Shoah, Ciro Ravenna e Enrica Calabresi, sono state già intitolate strade nel comune di Pisa; ne manca una: via Raffaello Menasci appunto.
Zakhor è un imperativo che in ebraico significa “ricorda”. Ricordiamo dunque il nome della vittima anziché il nome di chi l’ha resa tale.
Da sempre il nome delle vie ha subito variazioni nel corso del tempo, sia per ragioni storico- politiche che per motivi urbanistici. Dal momento che l’odonomastica ha un valore civico e pedagogico, è bene che la ricerca storica divulghi la verità tra i cittadini, così da suscitare sdegno e rifiuto e coscienza critica verso personaggi indegni e i loro sostenitori.