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Riconoscimento, reintegrazione e risarcimento. Le vittime della persecuzione antisemita in Italia 1944-1965 di Paola Bertilotti pubblicato su Italia Contemporanea n. 254 , marzo 2009

In Italia gli ebrei subirono, a partire dal 1938, per opera del regime monarchico-fascista, la "persecuzione dei diritti", poi, dopo l’8 settembre 1943, per opera dell’occupante nazista assecondato dalla Repubblica di Salò, la "persecuzione delle vite". Quest’ultima ebbe termine solo a guerra conclusa. "Il ritorno alla vita" degli ex perseguitati non coincise tuttavia con un immediato ritorno alla normalità. La persecuzione continuò a segnare pesantemente le sorti dell’ebraismo italiano anche nel secondo dopoguerra, incidendo sulla sua demografia, sulla sua geografia nonché sulle sue caratteristiche sociali ed economiche. Quale fu in questo ambito l’atteggiamento dello Stato italiano verso gli ex perseguitati? Nell’immediato dopoguerra, furono emanati i primi provvedimenti reintegrativi a favore delle vittime della persecuzione antisemita. Tuttavia, oltre alla situazione drammatica del paese, fenomeni di "continuità dello Stato" nonché interessi strategici legati alle trattative di pace ostacolarono il riconoscimento dei danni subiti dagli ex perseguitati e delle responsabilità italiane nella persecuzione. Con l’inizio della guerra fredda e la rottura dell’unità di governo, esplose una "guerra della memoria" che contribuì a bloccare sia l’espressione di una memoria della persecuzione antisemita che l’adozione di una più completa normativa a favore degli ex perseguitati. L’avvento del centro-sinistra portò a un’ufficializzazione della memoria antifascista e della memoria della deportazione. Gli ebrei italiani poterono ottenere riconoscimenti materiali e simbolici per la persecuzione subita per opera dei nazisti, ma non per la persecuzione fascista.


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