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Abstracts della rivista

Abstract del numero 229, dicembre 2002
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  • Leonardo Rapone L'antifascismo tra Italia ed Europa pubblicato sul numero 229 di Italia contemporanea, dicembre 2002 Abstract: In questo saggio si abbozza un quadro del rapporto tra l’antifascismo come categoria politica italiana e l’antifascismo come categoria politica internazionale. Negli anni venti l’antifascismo è un’esperienza tipicamente italiana, e dal caso italiano nasce l’antifascismo come insegna comune di una pluralità di forze, una risorsa politica che il comunismo internazionale scopre e valorizza solo più tardi. Con la crisi di Weimar l’antifascismo assume una dimensione internazionale, in cui vanno distinti due piani: quello della passione e quello dell’innovazione politica. La forza espansiva del primo è evidente ovunque in Europa, mentre l’efficacia dell’antifascismo come fattore di innovazione politica anche nei paesi democratici è assai più problematica. L’isolamento dell’antifascismo italiano in Europa si rompe solo con l’avvento dei fronti popolari, quando per la prima volta la particolare esperienza italiana entra in comunicazione con quella di un arco internazionale di forze politiche. L’immedesimazione con lo spirito dei fronti popolari riguarda anche Gl, sebbene la sintesi politico intellettuale giellista non abbia eguali nel panorama delle culture politiche europee. La crisi dei fronti popolari infrange l’immagine dell’unità ideale dell’antifascismo, ma nel caso italiano, a differenza che altrove, non determina una rottura tra antifascismo comunista e non comunista. Dopo una fase di eclissi, l’antifascismo internazionale risorge dalle ceneri quando la guerra mondiale, nata come guerra "senza ideologia", diviene l’espressione militare della "guerra civile internazionale".


  • Federico Romero Antifascismo e ordine internazionale pubblicato sul numero 229 di Italia contemporanea, dicembre 2002 Abstract: La cultura antifascista ha costruito la propria storia per spiegare ed esorcizzare - la marginalizzazione dell’antifascismo nello scenario internazionale postbellico. Ma si tratta di una storia - o meglio di una mitologia - che non regge a uno sguardo analitico: l’antifascismo non fu messo da parte o brutalmente lacerato dall’insorgere dell’antagonismo della guerra fredda. La relazione sostiene che l’antifascismo non conteneva comunque al suo interno gli elementi basilari che sarebbero stati necessari affinché si potesse immaginare un suo ruolo attivo nella vita internazionale dopo la fine della guerra. La natura, la storia e i progetti degli stati vincitori (fossero essi socialisti o liberaldemocratici) avevano poco a che fare con l’antifascismo: per loro si trattava di una questione del passato e non del futuro, e l’antifascismo non influenzò più di tanto le loro visioni e i loro piani per il futuro. La cultura politica dell’antifascismo era anche troppo eterogenea, e troppo incentrata sulle necessità della guerra e della resistenza, per poter elaborare propri progetti sul sistema internazionale postbellico o persino sulle ricostruzioni nazionali. Infine, essa fu presto messa fuori gioco, se non paralizzata, dall’uso apertamente strumentale che i sovietici ne fecero per combattere le proprie battaglie della guerra fredda. La cultura dell’antifascismo riuscirà a difendere e preservare la rilevanza delle sue lezioni morali se e quando sarà capace di riconoscere pienamente anche le proprie limitazioni e specificità storiche.


  • Simone Neri Serneri "Guerra civile" e ordine politico. L'antifascismo in Italia e in Europa tra le due guerre pubblicato sul numero 229 di Italia contemporanea, dicembre 2002 Abstract: Il concetto di "guerra civile" è categoria interpretativa utile a restituire il conflitto fascismo/antifascismo alla storia europea della prima metà del Novecento, perché in esso coglie l’espressione della crisi dei sistemi sociopolitici ottocenteschi e nell’antifascismo un passaggio costitutivo dei processi di modernizzazione politica. Ciò è possibile restituendo alla "guerra civile" il significato di guerra tra i cittadini, che confliggono per definire l’ordine politico e costituzionale, ossia di guerra politica per eccellenza, anziché di mera guerra fratricida. In Italia, la "guerra civile" fu innescata dal fascismo, che deliberatamente ricorse alla violenza per travolgere - con l’ordine costituzionale - la ’costituzione materiale’, condizionata dal primato dei partiti popolari, e per orientare in senso autoritario corporativo il nascente sistema politico di massa. La "guerra civile" assunse in seguito un profilo europeo, sull’onda del moltiplicarsi di analoghe strategie di contrasto violento della democratizzazione e dell’espansionismo bellicista intrinseco ai regimi fascisti. L’antifascismo replicò alla strategia della "guerra civile" in ritardo e in modo discontinuo. Tuttavia, esso divenne un soggetto politico collettivo, plurimo eppure coeso, solo dove e quando seppe coniugare la lotta per la democrazia sociale con l’opposizione militante al fascismo. Questo binomio pure animò la Resistenza al nazifascismo, la seconda fase della "guerra civile europea", che in molti paesi del continente pose le fondamenta della democrazia di massa postbellica.


  • Stefano Ceccanti L’antifascismo e le nuove costituzioni democratiche pubblicato sul numero 229 di Italia contemporanea, dicembre 2002 Abstract: Le costituzioni democratiche, possono essere viste in ciascuna delle loro articolazioni come legate alla lotta antifascista. Nella trattazione del tema, l’autore si concentra su due aspetti: 1. La protezione della democrazia; 2. La forza degli esecutivi. Per quanto concerne il primo aspetto, nell’Area euroatlantica è marginale una protezione demandata a norme costituzionali. La principale eccezione è venuta meno: la giurisprudenza costituzionale tedesca molto severa degli anni cinquanta è divenuta più tollerante coi partiti estremisti. Per quanto concerne il secondo, nel caso tedesco essa è ottenuta, in reazione a Weimar, grazie alla giurisprudenza costituzionale degli anni cinquanta che ha semplificato artificialmente il sistema dei partiti. Per il caso italiano l’opzione per un esecutivo relativamente debole era comunque corretta dagli ampi poteri del capo dello Stato e dal ruolo pervasivo dei partiti politici. In Francia, lo scontro tra i due centri di potere della Resistenza antifascista, il generale De Gaulle e i partiti politici, vede prevalenti i secondi con la Costituzione della Quarta repubblica. C’è poi un primo filone revisionista di sinistra riformista che parte dalle riflessioni di Léon Blum (sviluppate poi da Duverger e dal Club Jean Moulin) che si ispira all’idea del Governo di legislatura, di potenziamento della figura del premier. Il secondo filone, quello di De Gaulle, centrato su un rilancio del capo dello Stato, vince nel passaggio 1958-1962, ma la revisione del settembre 2000 (quinquennato) e la successiva modulazione delle scadenze elettorali (le presidenziali prima delle legislative) hanno cambiato le cose: siamo in realtà più vicini al "premier di legislatura" di Léon Blum che all’ambiguo "arbitro governante" immaginato da De Gaulle.


  • Andrea Silei Il dilemma tra stabilità e sviluppo in Brasile 1946-1964 pubblicato sul numero 229 di Italia contemporanea, dicembre 2002 Abstract: Dopo la seconda guerra mondiale, per effetto del positivo ciclo economico degli anni successivi alla grande depressione e dei fruttuosi rapporti con gli Stati Uniti, si erano generate nei paesi latinoamericani, in particolare in quelli che potevano contare su una base industriale preesistente, importanti aspettative di sviluppo. In Brasile, il periodo democratico (1946-1964) venne caratterizzato da un alto tasso di crescita dell’economia guidato dalla definitiva maturazione del processo di industrializzazione ottenuto attraverso la sostituzione delle importazioni. Ciascuno con diversi approcci, da quello neoliberista dei primi anni dell’amministrazione Dutra ai vari tentativi di pianificazione e di industrializzazione guidata dallo Stato di Vargas o Kubitschek, i governi brasiliani tentarono di individuare la ricetta che avrebbe consentito di massimizzare la crescita e sfruttare le favorevoli condizioni economiche internazionali. Il risultato fu impressionante — il tasso di crescita medio annuo fu del 7 per cento — ma la tumultuosa crescita venne accompagnata da forze destabilizzanti che sembrarono ostacolare il cammino del paese verso lo sviluppo. Senza tralasciare richiami alle principali vicende storiche, il saggio analizza l’evoluzione delle scelte economiche dei governi brasiliani tra il 1946 e il 1964, soffermandosi in particolare sul dilemma che parve caratterizzare i policy-makers del paese latinoamericano, ovvero la scelta tra politiche di incentivazione della crescita e interventi correttivi delle distorsioni. Due questioni legate a doppio filo da una sorta di anello invisibile.

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