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Anarchici contro comunisti. Movimento anarchico italiano e bolscevichi 1917-1924 di Fabrizio Giulietti pubblicato su Italia Contemporanea n. 247 , giugno 2007

Alla stregua di quanto avviene negli ambienti rivoluzionari di tutta Europa, il rovesciamento, nel febbraio 1917, dell’autocrazia imperiale zarista suscita grandi entusiasmi tra gli anarchici italiani. Nei mesi successivi, animati dalla speranza che l’insurrezione popolare di Pietrogrado possa segnare l’incipit di un ben più ampio processo di livellamento sociale, gli organi di stampa libertari si attestano all’unanimità sulla linea di rigido intransigentismo classista di Lenin che, contrapponendosi al governo provvisorio democratico-borghese, pone in termini perentori la questione della conquista del potere. L’incontenibile esaltazione con cui è accolta la notizia della presa del Palazzo d’Inverno è, però, quasi subito ridimensionata dalla cristallizazione in forme istituzionali della rivoluzione messa in atto dalla nuova entità statal-governativa bolscevica. Con i primi provvedimenti liberticidi varati dal Consiglio dei commissari del popolo, i maggiori esponenti dell’anarchismo italiano iniziano a esprimere vibranti critiche all’indirizzo del governo Lenin, che dopo le persecuzioni attuate, nell’aprile 1918, ai danni del movimento libertario russo, si trasformano in una serie di denunce sempre più incisive e incalzanti della deriva dittatoriale della Rivoluzione d’Ottobre. Le brutalità del "comunismo di guerra", la sanguinosa repressione della sollevazione di Kronstadt e la soppressione definitiva del movimento anarchico russo spingono, infine, gli anarchici italiani su posizioni di radicale e irriducibile condanna della "dittatura del proletariato". "Anche se fu all’inizio della sua carriera rivoluzionario sincero – scrive Errico Malatesta alla scomparsa del leader bolscevico –Lenin fu un tiranno, fu lo strangolatore della rivoluzione russa. E noi che non potemmo amarlo vivo, non possiamo piangerlo morto. Lenin è morto. Viva la libertà!".


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